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pasquale paoli | 267 |
nità per delitti da commettersi. Vero è che sedeva a Genova un oratore côrso, e diciotto nobili isolani consigliavano il governatore; ma è conseguenza fatale delle tirannie il divezzare dall’opposizione legale per avventar nella irosa.
I Côrsi erano ricchi d’ingegno e di vivacità, come sogliono i mezzo inciviliti; operosi, massimamente allor che il bisogno li spingesse fuor di patria. Avvezzi da bambini alla sobrietà, all’agilità, alla pazienza, sopportano le fatiche senza stancarsi, il dolore senza lagnarsi: hanno per ricchezza poche castagne e qualche capra, l’acqua per nutrimento, per veste ruvido panno, tessuto dalle loro donne colla nera lana de’ loro armenti. Barbosi, sucidi, selvaggi in vista, taciturni, superbi, sono implacabili alle vendette, covandole per anni, e tramandandole per generazioni. Gli uomini, ricevuto un affronto, lasciano crescersi la barba finchè non l’abbiano vendicato; le case mutansi in fortezze, si sbarrano le porte, muransi le finestre, lasciandovi appena una feritoja; e mentre donne e vecchi escono al lavoro e alle faccende, gli uomini stanno appostati, disposti a dare o respingere la morte. Gli abiti insanguinati dell’ucciso si conservano, per esporli ad opportuna occasione. Di rado si rompono le nimicizie senza dichiararle, e senza fissar il tempo in cui le ostilità cominceranno. Tutta la parentela e interi villaggi vi prendono parte; e le torri pei ricchi, le macchie pei vulgari sono covaccioli d’assassini, ai quali l’opinione applica il sigillo d’onore: nè cessano finchè il sangue non abbia lavato il sangue.
Quanto dell’armi, sono passionati del canto. Alle esequie tutto va in caracolli e vóceri, come chiamano le nenie che fanno sul cadavere, sia per celebrarne il merito, sia per invocare la vendetta: alle nozze accompagnano e spiegano ogni cerimonia col canto, il vestire e velar della sposa, il muoversi di casa, il giunger in chiesa, il levare il velo, poi le danze del domani e del terzo giorno, quando la sposa colle parenti e le amiche va alla fonte, e attinge in una brocca nuova, e nella fonte getta minuzzoli di pane e cose mangerècce: nelle serenate alternano canti e spari di fucile, siccome nelle canzoni mescolano il tenero e il feroce, la devozione e il misfatto. Tengono del fiero anche gli altri divertimenti, quali sono, oltre la caccia, il fermare col laccio corsojo cavalli e tori correnti, e la moresca, dove sin ducento uomini, con armadura all’antica e spada e pugnale, rappresentano qualche vecchio fatto, non sempre senza sangue.