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254 illustri italiani

zioni in un uomo, qualunque esso sia. Mario e Silla gli si imposero colla forza, ma durarono appena una generazione. Pompeo, incapace d’aprirsi orizzonti nuovi, abbagliò un istante, come tutti cotesti feticci da piazza e da giornali, che il vulgo oggi incensa, domani sfrantuma, e, per non confessare d’essersi ingannato, gli accusa d’averlo deluso. Catilina, Sertorio, Spartaco grandeggiarono alla lor volta, ma non li coronò quella riuscita che al ribelle fa dar il titolo di eroe. Per fin Cicerone destò un momentaneo entusiasmo, ma gli mancava quella posata intelligenza che si richiede a menar innanzi il popolo. Molti altri venivano a galla, valorosi capitani, abili amministratori, ma incapaci d’intendere, di arrestare, o di guidare la rivoluzione sillana, non sapeano che lodare lo stato antico, che ritorcere gli occhi verso i Romoli e i Camilli; mentre gli spiriti, disingannati d’uno sterile passato, agognavano a un promettente avvenire.

L’avventuriero più abile d’oggidì, colla felicità che caratterizza gli scritti suoi come i suoi fatti, ha detto: — Camminate contro le idee del vostro secolo, esse vi abbattono; camminate dietro a loro, esse vi trascinano; camminate alla loro testa, vi secondano e sorreggono». Così era accaduto; e prostrato Catone, trucidato Pompeo, riconoscevasi Giulio Cesare come l’uomo del tempo: e chi accuserà di stoltezza il popolo romano, se oggi stesso l’occhio spassionato riscontra in lui virtù che a pezza lo sceverano dagli anteriori e dai contemporanei, e lo additano il solo valevole a riconciliare in politica unità la plebe e i patrizj, i vincitori e i vinti, i nuovi ricchi e gli antichi, e dare una nuova costituzione alla repubblica? L’esito chiarì come il cadere di questa nel governo di un solo fosse inevitabile; ma i congiurati, secondo è stile degli utopisti, badavano al momento non all’avvenire, e pretesero ristabilire quella costituzione aristocratica ed esclusiva, per la quale troppo eransi cambiate le condizioni. Statilio, interrogato qual gli paresse men male, sopportar un tiranno o liberarsene colla sommossa e la guerra civile, avea risposto: — Preferisco la pazienza». Ma anche senza di ciò, avrebbero essi potuto leggere la condanna della repubblica nella immensa depravazione delle classi privilegiate.

Non è vero quel che dice Merival, che Cesare, in un anno e mezzo, abbia sovvertito il vecchio ed eretto il nuovo edifizio. Fu mira di tutta la sua vita il sostituire la monarchia alla repubblica, cioè