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pine de’ proconsoli, de residuis contro i contabili inesatti, de vi publica et privata contro le violenze, de peculatu che colpiva pure i sacrileghi. Anzi meditava riformare il diritto, e ridurre in poche e precise le molteplici leggi romane, compilazione che sarebbe riuscita ben più preziosa che non quella di Giustiniano; sotto la direzione dell’eruditissimo Varrone ergeva una biblioteca nazionale, come v’era stata a Pergamo e ad Alessandria; un tempio in mezzo al Campo Marzio, cioè dove sta la Roma moderna, con recinti pei comizj (Septa Julia), un anfiteatro a’ piedi della Rôcca Tarpea, un nuovo mercato, il Foro Giulio tra il Campidoglio e il Palatino1, una curia sufficiente ai rappresentanti di tutto il mondo; al Tevere scaverebbe un nuovo letto dal Ponte Milvio sin a Circeo e ad Ostia, dove un porto capacissimo ed arsenali: disseccherebbe le Paludi Pontine e il lago Fúcino, aprirebbe una via dal mar Superiore fin al Tevere, formerebbe la mappa dell’impero; Capua, Corinto, Cartagine, le città di maggior commercio, risorgerebbero per mano romana dalle romane ruine; per l’istmo di Corinto tagliato si congiungerebbero i mari; poi con grossa guerra vendicato Crasso sui formidabili Parti, tornerebbe pel Caucaso, per gli Sciti, pei Daci, pei Germani; sicchè l’impero, dilatatosi su tutti i popoli inciviliti, nulla avesse più a temere da Barbari.

Era stato ajutato da tutto il mondo, a tutto volea Cesare mostrarsi riconoscente col riceverlo nella città, e se la politica romana fin allora aveva atteso ad assorbire le genti, egli le volle assimilare. I generali conquistatori curvavano i paesi vinti all’obbedienza di Roma, sottraendone il denaro e la forza, pur lasciandone le istituzioni, non per moderatezza, ma per più sicuramente smungerle, fiaccarle, annichilirle: Cesare, mutato sistema, dice a tutte le nazioni, — Eccovi aperta Roma; venite a sedere nell’anfiteatro, nel fôro, nella curia», e sulle svigorite stirpi dell’Asia e dell’Italia innesta le nuove de’ Galli e degli Ispani. Al rompersi della guerra civile, conferì la cittadinanza a quanti Galli stanziavano fra l’Alpi e il Po, dappoi la diede ai medici e professori d’arti e scienze che venissero a esercitarle a Roma. Egli accoglieva gli Dei di tutti i paesi, e in conseguenza lasciavasi acclamare semidio, cominciando quel culto dell’esito, che sostituivasi alla deificazione della natura e delle astrazioni. Anche con ciò toglieva il prestigio all’antica costituzione,

  1. Quel che viene sterrato appunto mentre io correggo questi fogli (1872).