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giulio cesare | 245 |
sperità sotto un capo rivoluzionario, e appena sopita la guerra civile.
Bensì di rivoluzionarj dovette servirsi, quali Vatinio, Marcantonio e Dolabella. Molti illustri si erano tragittati in Africa per raggiungere Pompeo; e uditane la fine, giurarono morire per la libertà. Catone ne accettò il comando, promettendo di non salir più cavallo o carro, di mangiare seduto, anzichè a sdrajo come usavasi, e di non coricarsi che per dormire. Avuta volontariamente la città di Cirene, traverso al deserto egli andò nella Mauritania per unirsi all’esercito rifuggitovi con Metello Scipione suocero di Pompeo, e fece a questo attribuire la suprema capitananza, perchè un oracolo asseriva perpetua vittoria agli Scipioni in Africa. Giuba figlio di Iemsale, re della Numidia e della Mauritania, s’era messo con quella bandiera; e se, mentre Cesare perdevasi nel suo amorazzo alessandrino, i Pompejani avessero operato con concordia e abnegazione, virtù troppo rare nei partiti, poteva rimettere in forse ciò che a Farsaglia parea deciso.
Cesare si riscosse a tempo, e ripigliata la consueta rapidità (46 av. C.), sovraggiunse con pochi, ma risoluti guerrieri, fra cui alcuni Galli, trenta de’ quali rincacciarono ducento Mauritani fin alle porte di Adrumeto. Ivi però il dittatore si trovò ridotto a pessime strettezze per la possa dei nemici e la scarsità dei viveri: se non che il generale avverso, mal ascoltando a Catone che consigliava di evitare gli scontri, accettò la battaglia presso Tapso, ove lasciò cinquantamila uccisi e la vittoria. Le città a gara schiusero le porte; i capi dell’opposta fazione o s’uccisero o furono uccisi; Petrejo e re Giuba vennero a duello, in cui il primo cadde, l’altro si fece ammazzare da uno schiavo; solo Labieno trovò modo di fuggire nella Spagna, ove Catone aveva spedito Gneo e Sesto figli di Pompeo.
Catone, che colla robusta sua calma aveva raccolto a Utica un senato di trecento Romani, gli esortò a stare concordi, unico mezzo di farsi temere resistendo, o d’ottenere buoni patti cedendo; nè dover disperarsi delle cose fintanto che la Spagna reggeasi in piedi, Roma inavvezza al giogo, Utica munita e provvista (46 av. C.). Però i timidi prevalsero, e giudicando insania il resistere a colui, cui l’universo avea ceduto, mandarono a Cesare la loro sommissione. Catone non disapprovò quel consiglio, ma nulla volle chiedere per sè, dicendo: — Il conceder la vita suppone il diritto di toglierla, il