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dominj; lo sconfigge presso Zela, e scrive al senato: — Venni, vidi, vinsi».

A Roma intanto, udita la morte di Pompeo, il senato gridò Cesare console per cinque anni, dittatore per un anno, primo tribuno in vita, con autorità di far pace o guerra; potenza maggiore di quella usurpata da Silla, eppure acquistata e mantenuta senza micidj. Nè, come Silla e Mario, Cesare condiscese alle trascendenze dell’esercito, sebbene elevato per opera di questo; anzi vedendo che i soldati rizzavano le pretensioni, credendosi ancora necessarj contro i Pompejani, li raduna, e — Abbastanza fatiche e ferite sosteneste, o cittadini: vi sciolgo dal giuramento, e vi sarà data la paga dovutavi»; e per quanto lo supplicassero di tenerli ancora, e di non chiamarli cittadini ma soldati, distribuì a loro terre, disgiunte le une dalle altre, pagò i soldi e li congedò; eppure tutti si ostinarono a volerlo seguire quando egli mosse ver l’Africa.

Gran merito de’ vincitori di guerra civile il resistere ai proprj partigiani! ma Cesare, non che un rivoluzionario come ce lo dipinsero gli aristocratici, si mostrò ordinatore per eccellenza. Già nel suo primo consolato aveva atteso a rialzar quella classe media, che è la più repugnante dai sovvertimenti; metter regola alla feccia che correva a Roma per vendervi il suffragio e per offrirsi ad ogni arruffone; ripristinare la popolazione campagnuola e i primitivi plebei distribuendo terreni da coltivare ai poveri; gli altri sollevare dalle eccedenti gravezze col rivedere i contratti degli appaltatori, sicchè una esazione regolare e moderata impinguasse l’erario: rimedj opportuni, comunque non applicati saviamente.

Il gonfio poeta Lucano, che, sotto la pessima tirannide degli imperatori, osò far soggetto d’un poema la guerra civile, ci canterà che Cesare prendea per pace l’aver fatto un deserto; che si compiaceva del versare sangue per mero gusto del sangue; ma in fatto non un supplizio egli prese; castigò severamente le depredazioni dei soldati suoi, i quali guastavano i paesi meno che non i pretori e proconsoli; alla plebe largheggiò distribuzioni e spettacoli; gli amici fece chi auguri, chi pontefici, chi custodi dei Libri Sibillini, chi senatori; gli avversi chiedeva stessero neutrali finchè le sorti pendevano. L’amministrazione affidò a tre valenti, Oppio, Irzio, Balbo; e tantosto la plebaglia venne tranquillata, l’industria risorse, i capitali ricomparvero, abbondarono le provigioni; e parve prodigio questo rinascere della pro-