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il più disperato; abbandonar Roma senza tampoco levarne il tesoro, e ritirarsi a Capua dichiarando ribelle qualunque senatore o magistrato non lo seguisse. Nella sua vanità potè credere lo seguissero quei che fuggivangli dietro, e lasciava che gli adulatori mettessero in canzone Cesare ed asserissero che il solo nome del Magno basterebbe a sbigottirlo.

Ma Cesare colla sua portentosa alacrità1 s’avvicina; oggi il corriere porta ch’egli prese Arezzo, domani Pesaro, poi Fano, poi Osimo; in tutto il Piceno è accolto a braccia aperte; solo Corfinio è difeso da Domizio che il senato gli avea sostituito nel comando della Transalpina; ma le trenta coorti di guarnigione non tardano ad aprir le porte al vincitore, che perdona ai senatori ivi côlti e a Domizio stesso, dicendo: — Io non vengo a far del male, ma a rimettere ne’ diritti e nella libertà il popolo romano, soverchiato da un branco di ricchi»; restituì perfino sei milioni di sesterzj trovati nella cassa militare, e scriveva agli amici: — Diamo l’esempio d’un nuovo modo di vincere; ed assicuriamo la fortuna nostra colla clemenza e l’umanità».

Il trionfo e più il perdono sbigottiscono Pompeo, che si ritira a Brindisi nell’estremità meridionale dell’Italia; ma Cesare, ingrossato da cerne italiane, lo raggiunge, l’assedia: se non che, avanti sia chiuso anche il porto, Pompeo fugge verso l’Oriente, lasciando il campo all’emulo che, in sessanta giorni conquistata l’Italia senza sangue, cavalca sopra Roma.

Simulando rispetto a quell’antiquata legalità che il suo brando spezzava, non entra in città, ma accampa ne’ sobborghi; il popolo esce in folla ad ammirare e festeggiare il sommo capitano: e i tribuni ricoverati al suo campo ne magnificano i meriti, e inducono i pochi senatori rimasti a venir ascoltare l’arringa, in cui egli giustifica il suo operato, rianima le speranze, cheta le paure, e consiglia a mandar persone credute per indurre alla pace Pompeo e i consoli; tutto allo scopo di riversar la colpa sopra il nemico.

Un tesoro erasi accumulato per difendere contro dei Galli fin dai

  1. Hoc τέρας, horribili vigilantia, celeritate, diligentia est. Cicerone Ad Attico, VIII, 9. Nullum spatium perterritis dabat. Svetonio in Cesare, 60.

    Dum fortuna calet, dum conficit omnia terror.

    Lucano, VII, 21.