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giulio cesare | 237 |
finite imprese, si mosse in armi. Come governatore delle Gallie, potè legittimamente varcare le Alpi, e trovarsi nel cuor dell’Italia senza gli ostacoli che fra i monti, al Ticino, alla Trebbia, avevano remorato Annibale. Al Rubicone, confine del territorio romano, non gli si opponeva altro che un decreto, il quale intimava a nome del popolo romano: — Chiunque tu sia, console, generale, tribuno, soldato, coscritto, commilitone, di manipolo, di centuria, di legione, di turma, qui t’arresta, lascia la bandiera, deponi le armi, nè di là da questo fiume porta vessillo, esercito o munizioni; o sarai considerato nemico, come se contro la patria avessi mosso le armi, e tolto i penati dai sacri penetrali»1. Cesare stette alcun tempo librando fra sè gli orrori d’una guerra civile; ma non soleva egli dire che convien essere giusto sempre, fuor quando si tratti d’un regno? Esclamando adunque, — Il dado è gettato», si lanciò sul ponte, passò, prese Rimini.
Allora sì fu in Roma la costernazione, allora apparve la vanità dei nomi pomposi, e la dura alternativa, come diceva Catone, di temere un sol uomo, o in un solo riporre tutte le speranze. I senatori tentennano ne’ consigli, i cittadini ricoverano alla campagna; i ciarlieri, ingombro d’ogni gran caso, perdonsi in futili recriminazioni, e in dire qual cosa sarebbesi dovuto fare, e in disapprovare qualunque cosa si faccia; gli speculatori della rivoluzione adocchiano da qual parte spiri maggior probabilità di guadagno. Pompeo, disperse le forze in tante provincie, non si trova in grado di resistere, e se Marco Favonio gli rinfaccia, — O Magno, batti la terra col piede, che ne sbuchino le promesse legioni», egli non può che abbassare gli occhi e domandar consiglio2. E consiglio migliore gli sembrò
- ↑ Non è ben certa l’autenticità di questo vulgato senatoconsulto.
- ↑ Animadvertis G. Pompejum nec nominis sui, nec rerum gestarum gloria, nec etiam regum aut nationum clientelis, quas ostentare crebro solebat, esse tutum; et hoc etiam quod infimo cuique contigit, illi non posse contingere, ut honeste effugere possit. Cicerone Ad Fam. IX.
Sed poenas longi fortuna favoris
Exigit a misero, quæ tanto pondere famæ
Res premit adversas, fatisque prioribus urget.
Sic longius ævum
Destruit ingentes animos, et vita superstes
Imperio.
Lucano, VIII, 54.