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teneano i componimenti nelle lingue romanze di oc e d’oil, nelle quali già i Trovadori avevano cantato «rime d’amor dolci e leggiadre»; dal 1260 al 1300 era comparso il Romanzo della Rosa, fra i tanti altri che or la dotta curiosità richiama in luce; nella Spagna celebravansi in canzoni di variatissima unità le imprese del Sid Campeador; sei poemi componeva il canonico Berceo (1268); l’Amadigi diveniva comune, come le migliaja di romanze. L’Italia, dopo gli arcaici, ricreavasi ai versi della Nina Sicula, di Guido Guinicelli, di Guido Cavalcanti, che si tolser l’uno all’altro il primato, e che tutti doveano cederlo a Dante.

Staccatasi dai classici, l’immaginazione aveva preso due corsi: delle idee religiose e delle cavalleresche: dalle prime era venuta una serie di leggende, applicate a personaggi di tempi diversissimi, e che costituivano una mitologia cristiana, tanto men bella della gentilesca quanto più morale ed efficace, e cui forma erano l’allegoria e la visione. La cavalleria, portata in Europa colle crociate ed avvivata dall’alito di queste, aveva generato tutte quelle prodezze degli eroi della Tavola Rotonda e de’ paladini di Carlo Magno, oppure vestito alla moderna i commilitoni d’Alessandro Macedone, e inventato geneologie delle Case dominanti e principalmente de’ Reali di Francia. In questi predominavano la satira e il grottesco, fosse col narrar imprese ridicole, fosse coll’esagerare le eroiche ed esporle sogghignando. Solo la forma metrica fa collocare colle poesie certe narrazioni storiche sprovvedute di fantasia.

Anche i tanti fabliaux e poemi e romanzi in francese, in tedesco, in provenzale, in italiano, erano rozzi di apparenza e scempi di concetto, istintivi piuttosto che d’arte.

Il sentimento individuale esprimevasi nella lirica, tutta o di devozione o d’amore. Ma se questo fra Provenzali e Francesi teneva forma leggera e spensata, in Italia ben presto la assunse colta, divenne platonico e metafisico, tanto che fu mestieri di commenti alle canzoni amorose. Il sentimento e la bellezza ne scapitavano; ma faticando ad esprimere quelle idee o ad analizzarle, la lingua prendeva ampiezza e vigore.

Colla poesia ricompariva la storia, giacché qualcosa meglio che cronisti sono l’ingenuo Joinville (1317), il Villehardonin, il veneto Da Canale in francese; e tra noi il robusto Gaufrido Malaterra, il ghibellino Jamsilla, Ugo Falcando detto il Tacito siciliano, il mae-