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228 | illustri italiani |
Cisalpina sì nella Provenza, cresceano terribili all’indipendenza di quel popolo che un tempo avea minacciata la loro. E tanto più che i Galli, in una mezza civiltà di cui non perirono affatto le memorie, discordavano tribù da tribù, e nelle fraterne querele invocavano la micidiale intervenzione straniera. Gli Edui, superbi dell’alleanza del popolo romano, impedivano il commercio dei majali ai Sequani; e questi per vendetta chiamarono i fierissimi Galli Elveti, che sulla loro frontiera orientale trovandosi incalzati dalle popolazioni germaniche, in numero di trecensettantattomila, per Ginevra diffilarono sopra la Gallia romana, spandendo terrore quanto al venire dei Cimbri e dei Teutoni. Cesare, accorso a schermire la provincia, in otto giorni (mirabile prestezza!) si trovò in riva al Rodano; potè sconfiggerli e rincacciarli, fiaccò Ariovisto, re de’ Germani Svevi, chiamato in soccorso, e che ripassando il Reno, fra i Germani diffuse lo spavento del nome romano, ed arrestò la migrazione che fin d’allora cominciava.
Cesare giovossi delle discordie per sottomettere una dopo una le varie tribù galliche; penetrò nel Belgio e fin nell’Armorica (57 av. C.), cioè nel paese a mare che fu poi detto Bretagna; e al confluente della Mesa col Reno scompigliò novamente i Germani; campagna splendidissima, narrataci mirabilmente da lui stesso. Accortosi però che non durerebbe la soggezione finchè stimoli alla sommossa venissero dall’isola di Bretagna, santuario della religione gallica, vi sbarcò con grande coraggio; ma poco pratico del paese non più toccato da’ Romani, e assalito vigorosamente, fu costretto ritirarsi (55 av. C.). Per riparare a quello smacco, poco stante tornò, e servito ivi pure dalla scissura fra due capi, seppe indurre gl’isolani a pagare un tributo e rimanersi in pace; e rinavigò al continente. Con ducento navi, null’altro ne avea tratto che alquanti schiavi e perle, non vi lasciò guarnigione, non munì castelli; il tributo non fu pagato mai, nè egli l’aspettava; e Roma berteggiavalo d’aver vinto un paese, ove nè argento nè oro nè vestigio d’arte e sapere.
Chi avesse detto allora qual doveva diventare quell’isola a confronto della beffatrice!
Tolto lo sperare ajuti dalla Germania e dalla Bretagna, parea sottomessa stabilmente la Gallia; ma questa fremea della dominazione forestiera, della licenza soldatesca e del governo militare, decretato per altri cinque anni a Cesare col titolo di proconsole, pel quale