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226 | illustri italiani |
— Non più per vie scerete, ma per aperto calle Cesare assalta la repubblica»; e Cicerone: — Io prevedo in lui un tiranno; eppure, quando lo miro con quel capolino così acconcio, e grattarsi in modo di non iscomporre la zazzerra, non so persuadermi che uom sì fatto pensi a sovvertire lo Stato».
E veramente le soldatesche canzoni il rinfacciavano di turpe corrispondenza con Nicomede re di Bitinia; Curione in pubblico discorso lo chiamò marito di tutte le donne e moglie di tutti i mariti; e quando entrò vincitore, i soldati cantazzavano: — Romani, ascondete le mogli; questo calvo salace comprò le femmine della Gallia coll’oro rubato ai mariti». Ma tacciandolo un senatore di effeminato col dire che una donna mai non potrebbe tiranneggiar uomini, egli ripicchiò: — Ti sovvenga che Semiramide soggiogò l’Oriente, e le Amazzoni conquistarono l’Asia».
In realtà Cesare aveva assunto la capitananza del partito popolare, fiaccamente maneggiata da Pompeo. Orgogliavasi di sottomettere questi banchieri arricchiti; ma agli inferiori mostrava un rispetto insolito, e alla propria tavola facea sedere anche i provinciali, e servirli coll’istessa qualità di pane. Avendo ottenuto il governo della Spagna ulteriore, i creditori nol lasciavano partire, finchè Crasso non si esibì mallevadore per lui di cinquecento trenta talenti (61 av. C.). Andatovi, menò guerra risoluta, spinse le conquiste fino alle rive dell’Oceano, e tornò rifatto a segno, che spense gli enormi debiti. All’ambìto onore del trionfo, che il costringeva a rimanersi fuor di Roma finchè l’ottenesse, rinunziò per entrarvi a chiedere il consolato; al qual fine barcheggiò in modo d’amicarsi i due capi parte opposti, Crasso e Pompeo, e fra questi tre si strinse una lega, conosciuta col nome di primo triumvirato (60 av. C.), il quale ovviando la mutua opposizione, riduceva in loro mano la pubblica cosa, usandovi Crasso il denaro, Pompeo la popolarità, Cesare il genio. Il senato, che prima idolatrava Pompeo, profuse congratulazioni a Cesare che aveva rassettata quella pericolosa nimicizia; ma Catone ripeteva: — Non la nimicizia, ma l’accordo di questi tre toglie a Roma la libertà».
Cesare, ottenuto il consolato, ecclissò il collega Bibulo in modo, che gli spiritosi intitolavano quello l’anno (59 av. C.) del consolato di Cesare e Cesare, ed esercitava quella specie di dittatura ch’è la più pericolosa, cioè la popolare. Suo intento era di toglier le barriere fra