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giulio cesare 225

— Si abbattano le barriere oligarchiche; s’introduca nella città tutto il mondo», esclamava Cesare: ma al patriotismo angusto parea con ciò si disacrasse la terra degli avi. Campione di questo il severo Catone, era troppo differente dal grosso del partito ch’egli onorava: nè consiglio ed ajuti poteva egli chiedere da un corpo corrotto, da vecchi indolenti e rugginosi, che avevano perduto il senso morale e ogni sentimento di dignità, o da giovani violenti, febbricitanti d’orgoglio non men che di libidine.

Cesare, di genio ordinatore al par di Silla, divisò un sistema ben diverso da questo; l’uno respingea la repubblica verso un irremeabile passato, l’altro avviava all’avvenire, cercando ciò che paresse effettibile; l’uno escludeva checchè non fosse romano, l’altro abbracciava checchè il mondo barbaro potesse contribuire all’annosa civiltà, e dilatava le gelose barriere della città romana, che ben presto dall’impero e dal cristianesimo dovevano essere spalancate a tutti. Coadjuvò le colonie latine nel ricuperare i diritti, cincischiati dal dittatore; anche ai Barbari, anche agli schiavi estendeva le attenzioni sue; chi avesse soprusi da reprimere, miglioramenti da chiedere, a Cesare ricorreva; le città lontane abbelliva; essendo edile, spese, anzi prodigò quant’altri mai; risarcì la via Appia, quasi tutta del suo; al popolo distribuzioni e feste; e perchè fossero comodamente veduti i giuochi Megalesi, fabbricò un teatro amplissimo di legno coi sedili; lo che, unito alla splendidezza dello spettacolo, pensate quanto lo elevò nel pubblico favore. Ma sebbene offrisse trecenventi coppie di gladiatori, non lasciava al popolo l’atroce soddisfazione di vederli scannarsi.

Secondo la vetusta costituzione, le donne romane, per quanto riverite in famiglia, nessuna considerazione ottenevano nella città; e ciò non ostante, pubbliche esequie egli rese alla moglie Cornelia e alla zia Giulia vedova di Mario, recitandone in piazza il funebre elogio. In quell’occasione richiamò memorie care al popolo, e tra le effigie domestiche presentò anche quella proscritta di Mario; poi vistosi fiancheggiato, una mattina fece trovare ricollocati la statua e i trofei di questo nel Campidoglio, donde al tempo di Silla erano stati rimossi. I dilettanti ammiravano la finezza di quei lavori, il popolo ne piangeva di dolcezza, i nobili fremevano di questo nuovo genere di broglio, accusando Cesare d’aspirare ad egual potenza; Catulo, il cui padre era caduto vittima di Mario, diceva in pien senato:

Cantù. — Illustri italiani, vol. I. 15