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224 | illustri italiani |
nario lo proscrisse, poi supplicato dai nobili e dalle vestali, lo graziò, — Ma (disse) in quel garzone sciamannato troverete molti Marj», indovinando il colpo che porterebbe all’aristocrazia. Sdegnando il perdono o diffidando, Cesare passò in Asia, e caduto in mano dei pirati, non che fare come sbigottito, li minacciava, dandosi l’aria di loro capo anzichè di prigioniero; leggeva ad essi le composizioni in cui esercitavasi, e li garriva di mal gusto perchè non ne comprendevano il merito; tassatogli a venti talenti il riscatto, disse: — Troppo pochi; ve ne darò trecento: ma libero ch’io sia, vi farò crocifìggere», e mantenne la parola. Nè questo coraggio gli venne meno nelle imprese successive.
Ma nella vita privata, discolo, audace, prediletto dalle donne che seduceva per vantaggiarsi della loro ingerenza nella Roma depravata, corridor d’avventure come tutti i giovani nobili d’allora, prodigo più di tutti, vendeva, pigliava a prestito per regalare, per farsi aderenti, tanto che, prima d’acquistare veruna carica, si trovò indebitato di mille trecento talenti, cioè sette milioni e mezzo di lire. Anzi al sapere far debiti dovette la sua prima fortuna; perocchè concorrendo al sommo pontificato, chiese enormi prestiti, coi quali da un lato comprò i voti dei poveri, dall’altro impegnò i ricchi a portarlo ad un posto che gli darebbe modo di pagarli. E la principale sua astuzia consistette nel far denaro, comunque e dovunque potesse; non già per tesoreggiare, ma perchè sentiva vera la dispettosa esclamazione di Giugurta, e diceva: — Due sono i mezzi con cui si acquistano, conservano e crescono i comandi; soldi e soldati».
Segnalato così fra i nobili per sangue e costumi, al popolo fu caro come nipote di Mario; ed egli in fatti pettoreggiò i Sillani, ed aprì sua carriera coll’accusare di denaro distratto Cornelio Dolabella. Costui ne’ governi avea rubato quanto bastasse per trovar difensori due valentissimi avvocati, Quinto Ortensio e Aurelio Cotta, i quali lo fecero assolvere: ma i letterati ammirarono l’ingegno del giovane Cesare; il popolo applaudì al suo coraggio di proteggere la giustizia contro i sicarj di Silla; i Greci e gli altri provinciali lo sperarono sostenitore dell’umanità contro la tirannide privilegiata di Roma.
Ad ogni occhio appariva come Roma fosse base troppo angusta a tante conquiste. Il governo era decrepito; immensa la corruttela dei nobili infraciditi nella ricchezza, e chiedenti dalla civiltà greca incredulità e godimenti; la plebe oziosa, tumultuante, vendereccia.