Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/24

4 illustri italiani

dalla bocca di insigni. Al maggior filosofo e teologo del medioevo, dottor angelico (Tommaso d’Aquino), faceano corteggio il dottor sottile (Duncano Scoto), il dottor serafico (san Bonaventura); Enrico di Gand ravvivava l’ipotesi platonica delle idee archetipe (1295); Egidio Colonna dottor fondatissimo (1316), col libro De regimine principum preparava il modello a Giovanni Bodino, che fu modello di Montesquieu. Pietro d’Abano toglieva a conciliar le due scuole mediche dell’umidità e del seccore, oggi diremmo dello stimolo e del controstimolo, Taddeo d’Alderotto, Simon di Cordo, Lanfranco di Milano, Cecco d’Ascoli, associavano la filosofia alla medicina: l’alchimia e l’astrologia trascendeano i confini del mondo visibile per rintracciare forze occulte, interrogare le stelle, «rompere anche alla morte il telo» mediante l’elisir. La dialettica, affaticatasi nelle arguzie della scolastica, feudalità del pensiero, entro il vasto campo che all’argomentazione era lasciato dalla fede, si spinse fino all’arte combinatoria di Raimondo Lullo; ma dall’alchimia e dalla cabala tornavasi alle vie dell’esperienza «ch’esser suol fonte ai rivi di nostre arti»: e frà Ruggero Bacone, dottor ammirabile, dalle categorie logiche richiamava la spiegazione de’ fenomeni fisici all’osservazione e allo sperimento: Basilio Valentino, Brandt, Glauber, Arnaldo di Villanuova, Michele Scoto dalle scienze occulte traevano lumi di scienza positiva: Fibonacci introduceva le cifre arabiche: il novarese Campano commentava Euclide.

Dacchè la ragione, l’autorità, l’intuizione, l’esperienza possedeano ciascuna un gran dottore in Alberto Magno, Tommaso, Bonaventura, Bacone, sentivasi il bisogno di ricongiungere questi quattro cammini della verità, e Vincenzo di Beauvais (1264) compose una specie d’enciclopedia, a cui tenne dietro il Tesoro di quel Brunetto Latini, il quale a Dante insegnava «ad ora ad ora come l’uomo s’eterna».

L’arabo e l’ebraico studiavansi al pari del greco; diffondeasi il culto della poesia latina: la tedesca esultava nei canti de’ Minnesingeri, e già l’aveano portata a somma altezza Enrico di Waldeck, Walter di Vogelweide, Wolfram d’Eschenbach, che Göthe dichiarò il più gran poeta germanico: Enrico di Ofterdingen avea già composto il poema dei Niebelungen, che, colla Gudruna furono qualificati l’Iliade e l’Odissea tedesca.

Questi paragoni sono di trattatisti più tardi, mentre carattere di tali produzioni è il non connettersi punto colle classiche. Nè vi s’at-