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148 | illustri italiani |
Can ebbe inteso le condizioni de’ Latini, mostrò che molto gli piacessono», e gl’incaricò che, tornando, richiedessero il papa di mandargli persone dotte nelle sette arti liberali, affinchè dirozzassero e ammansissero le sue genti, meglio che non isperasse dai degeneri cristiani di levante, nè dai Lama del Tibet. Volea gl’inviati fossero capaci di dimostrare la superiorità del cristianesimo alle altre religioni, lasciando sperare che, in tal caso, egli e tutta la sua gente lo abbraccerebbero. Chiedeva pure gli recassero un poco dell’olio delle lampade che ardevano al santo sepolcro. Diè loro pertanto lettere e una lastra d’oro o dorata, portante ordine a tutti i sudditi di rispettarli, e fornirli di vetture e di scorte, franchi di spesa per tutte le sue terre.
Traverso all’Asia giunsero essi ad Acri il 1 aprile 1269, d’indi a Venezia, ove Niccolò trovava morta la moglie e di quindici anni il figlio Marco, di cui l’avea lasciata gravida e che prese con sè. Vacando allora la sede romana, nè potendo prolungare gl’indugi, furono di ricapo in Palestina (1271), ove presentarono l’ambasciata a Tibaldo Visconti cardinale legato; e poichè in quell’istante appunto arrivò l’avviso che questo, dopo la vacanza di due anni, era assunto alla tiara, esso li munì di lettere, e della compagnia di Niccolò da Vicenza e Guglielmo da Tripoli carmelitani, letterati e teologi: troppo scarsa risposta alla domanda di Kublai; anzi questi due poco dopo scoraggiati tornarono indietro.
Per mezzo ai pericoli cagionati dall’invasione di Bibars nell’Armenia, passarono i cinque cristiani per Ayas e Sivas, indi per Mossul e Bagdad fino ad Ormus alle bocche del golfo Persico: poi pel Korasan e Balk all’Oxo superiore, per le steppe di Pamer, pel deserto di Gobi, lungo le frontiere della Cina vennero a Kai-ping-fu residenza estiva del Can (maggio 1275) che ragguagliaron dell’ambasciata.
Sedeva Kublai ordinariamente nella nuova città di Ta-fu, oggi chiamata Peking e Cambalù da Marco Polo1, il quale così la descrive: — Lo palagio è di muro quadro per ogni verso un miglio, e in su ciascun canto è molto bel palagio; e quivi si tiene tutti gli arnesi del Gran Cane, cioè archi, turcassi, e selle e freni e corde e tende, e tutto ciò che bisogna ad oste e a guerra.... Il palagio è il maggiore che mai fu veduto; egli non v’ha palco, ma lo ispazzo è alto
- ↑ Kan-fu, cioè alla corte. Kan-balich, cioè residenza del re.