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mali, nè dopo di essa v’ha gaudio o tormento1: eppure egli stesso, dopo che una volta rischiò di esser rovesciato, non saliva mai in cocchio senza recitare tre volte una giaculatoria preservativa, «come facciamo la più parte», dice l’ateo Plinio2.

Anche in Orazio la morte non offre che il nulla: e perpetuo sonno preme Quintilio3: e «A te, gran sapiente Archita, che vale l’aver saputo calcolar le stelle del cielo e le arene del mare, se più non sei che polvere sul lido marino?»4

Come avviene quando le credenze sono scosse, Cicerone, secondo i Nuovi Accademici si tranquilla nelle probabilità; pure combatte costantemente gli Epicurei e le altre scuole che qualifica di plebee5; non foss’altro, perchè sconsigliavano dalle pubbliche faccende, mentre il carattere della sua filosofia, e in generale della romana, è l’applicazione al vivere cittadino. Pertanto predilige l’etica stoica, anche perchè meglio si presta all’eloquenza; salvo del resto a voltarla in beffa nella persona di Catone; e scopo della morale e regola della vita pone il sommo bene, il quale consiste nella virtù e nell’onestà, cioè in quel che è lodevole per sè stesso, non per idea di utilità: e quantunque l’onesto sembri talvolta pugnare coll’utile, utile è però sempre.

    talium potestate erant, ea habemus quæ Dii dederunt: animos, qui nostræ mentis sunt, eosdem in omni fortuna gessimus gerimusque».
    Pure dai poeti stessi potrebbero trarsi nobilissimi concetti della divinità; che mostrerebbero come la tradizione primitiva non fosse spenta. Il Dio retributore anche delle azioni individuali è dipinto da Plauto nel prologo del Rudens.

                   Qui falsas lites falsis testimoniis
                   Petunt, quique in jure abjurant pecuniam,
                   Eorum referimus nomina, excripta ad Jovem.
                   Cotidie ille scit quis hic quærat malum....
                   Iterum ille eam rem judicatam judicat....
                   Bonos in aliis tabulis excriptos habet, ec.».

  1. «Mortem ærumnarum requiem esse: eam cuncta mortalium mala dissolvere: ultra neque curæ, neque gaudio locum esse». Sallustio, Catil. 49.
  2. Naturæ hist. XVIII, 2.
  3.                Ergo Quinctilium
                   Perpetuus urget sopor.

  4. «Te maris et terræ numeroque carentis arenæ Mensorem....»
  5. «Plebei philosophi, qui a Platone et Socrate et ab ea familia dissident appellandi videntur». Tuscul. I, 22.