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Cicerone | 127 |
dell’Amicizia, della Vecchiaja, Più sobrj che le orazioni, li troviamo più lodati dai contemporanei; pure l’abitudine del declamare impedisce Cicerone di saper piegarsi alla esattezza delle voci e delle frasi, le accatta sovente dal greco, e sagrifica la precisione alla circonlocuzione, valendosi delle definizioni greche benchè le parole non avessero equivalente significato, rispettando le conclusioni de’ Graci benchè dedotte da tutt’altre premesse; mal fila il ragionamento, e mostrasi inetto a raggiungere il fondo della scienza.
Lasciati a parte i sommi modelli Aristotele e Platone, prevaleva allora la sètta eclettica de’ Nuovi Accademici, che con leggerezza mostrava come, deducendo ragioni pro o contro dalle altre sètte, si arrivasse a conseguenze opposte. Questo metodo calza perfettamente a coloro che vogliono avere una tintura di molte cose, piuttosto che approfondirsi in una. E appunto per secondare tal gusto, Cicerone, che pur chiama Platone l’autor suo, il suo dio, si ferma alla probabilità1, anzichè fissarsi in convinzioni risolute; tante sono le cose che asserisce, che tu dubiti se profondamente n’abbia meditato veruna; e come varia di stile, di lingua, di colore secondo l’autore che copia, così muta sentenza secondo la parte cui s’accosta.
Per lui la filosofia è una raccolta di ricerche particolari sopra questioni date2: e la divide in luoghi, che tratta indipendentemente gli uni dagli altri. Dall’esperienza sua del mondo deduce riflessioni vere, argute, evidenti: ma se occorrono ricerche sulle basi della verità, analisi esatta del pensiero, dell’azione, della natura umana, s’avviluppa ed abbuja. La sua filosofia è fatta pel galantuomo, più che pel sapiente; i doveri risultanti dallo stato sociale preferisce a quelli che derivano dall’indagine scientifica; ogni ricerca vada da banda, non appena sorge occasione di operare. Ingegnoso ed erudito, ma nè originale nè profondo, tenta conciliare le varie dottrine: l’incertezza che domina nella filosofia, egli la riscontra anche nella geometria, nella medicina, nelle scienze fìsiche: nella morale sente la scossa data alle credenze, ed egli medesimo la riduce talvolta alla sensibilità: conseguenza naturale del non mirar che alla pratica applicazione.