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114 | illustri italiani |
coraggio quanta patria carità; e ne’ tentativi posteriori per frenare i Cesariani capitanati da Antonio, risplende una nobile ed eroica risoluzione, pari ai più grandi esempj di magnanimità romana. In quella crisi ben vedeva egli che il perdere sarebbe stato per lui inevitabile rovina: nondimeno getta il dado, nè più pensa a dar indietro, comechè gliene dovesse venire talvolta nell’animo una fiera disperazione.
La vanità, se non il fondo, fu l’ingombro continuo del carattere di Cicerone; quella piccola vanità, che talvolta lascia deprimere la dignità propria, purchè si elevi la fama; che sente l’amicizia, ma ne fa vanto come d’ogni pregio estrinseco; che ama la patria, ma i servigi a lei resi diminuisce coll’esagerarli o almeno ripeterli; vuol beneficare, purchè siagli permesso parlarne, e all’uopo rinfacciarlo agl’ingrati; ama la verità, purchè non lo offenda; e fin lo stile contorna di tal pompa, da costringere il lettore a dire: — Che grande ingegno ha costui!» A questa vanità son dovute le sue variazioni; ad essa in parte la sua grandezza, poichè ne fu spinto agli studj, all’azione: da essa potè talvolta esser incitato ad attività e perseveranza dove il suo patriotismo sarebbesi forse per natural timidezza accasciato, e rallentata la sua costanza per amore della propria conservazione. Quando gli occhi de’ suoi concittadini sapea fisi in lui, e gli sonavano all’orecchio i loro applausi; quando egli fu chiamato al primo posto d’onore e di pericolo; quando, contro un nemico assai più terribile di Catilina, fu riconosciuto e careggiato come anima e capo del suo partito; incaricato di patteggiare coi capitani degli eserciti nelle lontane provincie, e da essi risalutato come principal rappresentante dell’oltraggiata maestà della repubblica, il suo coraggio non si mostrò inferiore all’assunto. Allettato dalla vaghezza di un trionfo, non esitò di arrischiarsi sulle alture di Amano; e la speranza della medesima ricompensa lo avrebbe spinto ad affrontare le saette dei Parti, se la fortuna lo avesse tratto a guerreggiarli. Ma allorchè fu forzato a scendere da quella preminenza, e diventare sussidiario da principal personaggio ch’egli era; allorchè, come nella lotta tra Cesare e Pompeo, egli non poteva che d’un nonnulla accrescere il peso dell’uno o dell’altro partito, e avrebbene quindi ottenuto ben tenue mercede, tornò all’insita sua cascaggine, ch’era stata vinta per breve tempo dal potente stimolo della lode avuta od aspettata; donde oscillamenti e paure e, loro naturali conseguenze, doppiezza