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108 | illustri italiani |
dato l’anello, ti tenne in istabile matrimonio. Nessun ragazzo comprato per la voluttà fu così in balia del padrone, come tu di Curione. Quante volte tuo padre ti cacciò di casa? quante volte postò guardie perchè tu non vi ponessi piede? mentre tu, protetto dalla notte, stimolato dalla libidine, costretto dalla mercede, eri calato giù dal tetto».
E segue ad enumerare brutture d’Antonio, che danno infamia a questo non men che al popolo, innanzi a cui un grave oratore osava esporle. Poi incalza Antonio per tutta la carriera degli impieghi e delle ribalderie; e massime nel suo tribunato.
«In quello, avendo Cesare, nell’andar nella Spagna, data a costui l’Italia da conculcare, qual fu il modo de’ suoi viaggi? quale la visita ai municipj? Quando mai si udì pari iniquità sulla terra, pari turpitudine, pari infamia? Il tribuno della plebe era menato in cocchio, preceduto da littori laureati, fra cui in lettiga scoperta era portata una commediante; alla quale essendo obbligati di andar incontro i municipali delle borgate, non la salutavano con quel noto nome da teatro, ma di Volunnia. Seguiva una carrozza con mezzani, turpissima brigata; la madre rinegata seguiva l’amica dell’impuro figlio, come fosse una nuora. Ahi sciagurata fecondità dell’infelice donna! Colle orme di queste sozzurre costui impresse tutti i municipj, le prefetture, le colonie, l’intera Italia.
«Degli altri fatti suoi scabroso e lubrico è il parlare. Fu in guerra; satollossi del sangue di cittadini dissimiglianti; fu felice, se felicità può esservi nel delitto.... Tu con cotesta gola, con cotesti fianchi, con cotesta robustezza da gladiatore, nelle nozze d’Ippia bevesti tanto vino, che il domane fosti costretto vomitare al cospetto del popolo romano....
«Ma per non ommettere la più bella fra le tante imprese di Marcantonio, veniamo ai lupercali. O senatori, nol dissimula; e’ mostrasi commosso, suda, impallidisce. Quale scusa può addursi a turpitudine tanta? Sedeva ne’ rostri il collega tuo, vestito di purpurea toga, col seggio d’oro e la ghirlanda; ascendi; t’accosti alla sedia; talmente eri luperco, da scordarti di esser console. Mostri il diadema; e per tutto il fôro un fremito. Donde il diadema? giacchè non l’avevi raccolto per via, ma portato da casa; delitto meditato. Tu gl’imponevi il diadema con fremito del popolo; egli con applauso il respingeva1.
- ↑ Nelle feste lupercali, Antonio pose in testa a Cesare una corona da re, quasi