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Cicerone | 107 |
conia presi quanta n’avrebbe ogni buon cittadino se altrettanto avesse preveduto. M’accorava, o padri coscritti, che la repubblica, salvata un tempo dai vostri e dai miei consigli, in brev’ora dovesse perire; nè io era così rozzo e inesperto delle cose, da cader d’anima per cupidigia d’una vita, che restando mi struggerebbe di cordoglio; lasciata, m’avrebbe sciolto d’ambascie. Quegli egregi cittadini, lume della repubblica, io volea salvi; tanto fiore di nobiltà e di gioventù, tanto stuolo d’ottimi cittadini, i quali, se vivessero, sebbene a trista condizione di pace (giacchè qualunque pace coi cittadini io reputava più utile della guerra civile), oggi godremmo ancora la repubblica. Che se il mio parere fosse prevalso, nè, imbaldanziti dalla fiducia della vittoria, m’avessero resistito appunto quelli alla cui vita io provvedeva, tu certo non saresti rimaso in quest’Ordine, anzi neppure in questa città.
«Ma il parlar mio, dicono, mi disamicava Pompeo. Or chi amò egli più di me? con chi ebbe più spesso e colloquj e consulti? Ond’era mirabile che durassero amici due, i quali dissentivano ne’ supremi affari. Io vedeva quel ch’egli, ed egli quel ch’io pensassi; io provvedeva prima alla salvezza dei cittadini, poi al decoro, se fosse possibile; egli piuttosto al decoro presente: egli non mai di me fece menzione se non onorifica, confessando ch’io avea veduto meglio, egli meglio sperato. Ed ora molestar me a nome di colui, di cui confessi ch’io fui amico, tu partigiano? Tacerò la guerra, in cui tu fosti soverchiamente fortunato; neppure agli scherzi risponderò che tu dici da me usati in campo. Quel campo era pieno d’apprensioni davvero; pure gli uomini, anche posti in torbidi momenti, se sono uomini, ricreano ad or ad ora lo spirito: che se egli accusa del pari e la mestizia e la giovialità, segno è che in entrambi io fui temperato....
«Ma risposto omai abbastanza alle sue accuse, diciamo alcun che dell’accusatore stesso; nè verserò tutto, per serbare qualche cosa di nuovo, se più volte si dovrà disputare. Vuoi dunque che cominciamo dalla fanciullezza? Parmi bene principiar dal principio. Ti rammenta come tu ragazzo fallisti? È colpa del padre, tu rispondi. Concedo, poichè tal difesa è indizio di pietà: ma è tua sfacciataggine l’esserti assiso fra i quattordici, benchè la legge Roscia assegnasse altro posto a coloro che fallirono, ancorchè fosse per mala ventura. Assumesti la toga virile, che tantosto rendesti muliebre: dapprima bagascia vulgare, sinchè Curione ti levò dal traffico meretricio, e quasi t’avesse