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Cicerone 103

questi si ritirò in villa a meditare per diciassette giorni la risposta; poi comparso nel senato, donde Cicerone erasi tenuto lontano per paura dei satelliti di quello, lanciò una fiera invettiva contro il suo avversario. Cicerone allora tessè la seconda filippica, dove, purgato sè stesso dalle imputazioni, ritorce l’argomento contro Antonio.

«Che destino è il mio, o padri coscritti, che in questi venti anni nessun nemico sia sorto alla repubblica, il quale a me pure non abbia rotto guerra? Senza ch’io ve li rammenti, voi ben li ricordate, e come mi diedero maggior pena ch’io non volessi. Ben mi stupisco, o Antonio, che tu non tema la fine di quelli di cui imiti le azioni. Ciò mi riusciva meno meraviglioso negli altri, de’ quali nessuno mi fu nemico per elezione, ma erano stati da me provocati pel pubblico bene. Tu, neppure scalfito con una parola, mostrandoti più audace di Catilina, più furibondo di Clodio, mi straziasti con ingiurie, e giudicasti che l’inimicarti a me ti dovesse servir di raccomandazione presso i ribaldi».

Sventa l’accusa d’ingratitudine appostagli da Antonio, dicendo che con tal uomo non dee qualificare l’opporsi ad un tristo per vantaggio di tutti, nè poter un assassino pretendere favori perchè lasciò di commettere un delitto. «Affinchè voi intendeste qual console egli si professasse da sè, rinfaccia a me il consolato mio; mio in parole, in realtà vostro, o padri coscritti. Imperocchè qual cosa io statuii, qual feci, quale eseguii se non per consiglio, autorità e sentenza di quest’Ordine? E tu, non eloquente solo ma scaltro, osasti vituperare tai cose al cospetto di quelli, per cui consiglio e senno furono compite? E trovossi mai chi il mio consolato riprovasse, da Clodio in fuori?»

Con ciò mirava ad involgere nella causa sua tutto il senato, mentre associava perpetuamente il nome d’Antonio coi più esosi. Enumera quindi i tanti personaggi che approvarono il suo operare: «Ma a che menzionarli uno ad uno? all’affollatissimo senato andai così in grado, che nessuno vi fu il quale non mi ringraziasse come padre, non mi si professasse debitore della vita, delle fortune, dei figli, della patria; ma poichè dei tanti illustri che nominai è vedovata la repubblica, veniamo a quei due che avanzano dell’Ordine consolare. L. Cotta, sommo d’ingegno e di prudenza, decretò con generosissime parole una supplicazione per le imprese che tu disapprovi, e a lui consentirono i consolari e il senato intero: onore che, dopo Roma fondata, a nessun uomo togato erasi reso....»