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Cicerone | 99 |
parte. Un tal movimento pareva allora assorto nelle fazioni civili; pure i partiti cercavano appoggio dalle nazioni, accortesi che il loro innalzamento verrebbe o dal distrugger Roma, o dal meritarsene i privilegi. Erasi visto Mario sostenuto da tutta Italia, e Catilina chiedere ausiliarj nell’Etruria e fra gli Allobrogi. Ed apparve più evidente sotto Cesare, quando in folla Galli ed Iberi vennero ad acquistare possessi in Italia. Al qual modo fu preparato l’Impero, durante il quale stranieri difesero, stranieri regnarono, Roma non fu più che la città dell’universo; e dovette perire quel patriotismo ristretto, che era prima virtù delle repubbliche antiche e fondamento di tutte le loro istituzioni.
Tali effetti prevedevano e voleano prevenire que’ patrioti romani, i quali ci sono dipinti dalla scuola come repubblicani e liberali, contro di Cesare tiranno. In entrambe le sètte vi aveva non pochi uomini di abilità pratica, avvezzi alla vita dei campi e alle norme del fôro; ma da Cesare in fuori, nessun genio iniziatore, che comprendesse bene i tempi e ciò che chiedeano. In età sì critica, al popolo romano saria stato bisogno d’una guida di ben altra tempra, di ben altra previdenza che Cicerone o Pompeo, amministratori abili di certo, ma nulla più, nè capaci di cogliere il senso o d’arrestare il male della rivoluzione di Silla; rivoluzione che avea troncato i progressi naturali d’una riforma reclamata dall’estendersi della cittadinanza romana, che avea rotto gli antemurali d’una costituzione senza basi, senza ragione d’essere ne’ costumi presenti.
Quanto volentieri troveremmo in Cicerone la storia delle opinioni contemporanee intorno ad una guerra intestina, di cui le cause e l’andamento sono ardue a spiegarsi anche dai posteri! Ma egli giudica passionato, angusto, variando secondo il vento. Tornato dall’esilio, s’accôrse avere altri occupato il posto ch’egli coll’eloquenza erasi guadagnato, e ormai prevalere altre armi. Cesare, che sebben di politica diversa, lo stimava e amava come gran letterato, se l’amicò dapprima col pregarlo a mettersi di mezzo fra lui e Pompeo, e coi suoi consigli, col suo credito, coll’autorità sua ripristinare la pace. Come vide andar a fascio le cose di Pompeo, Cicerone volentieri se ne sarebbe spiccato, se non l’avesse trattenuto vergogna o punto d’onore; e ad Attico scriveva: — Tu dici lodato quel mio motto, Amerei piuttosto esser vinto con Pompeo che vincitore con Cesare. Sì; l’amerei, ma col Pompeo che era allora o che mi parea, non con questo che