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Cicerone 83

la firma ne’ giudizj e ne’ testamenti, la mano nelle schermaglie civili, e che guatavano ai ricchi, e adocchiavano solo il destro di far suo l’altrui. Tra siffatti, Catilina primeggiava per maggiore sfacciataggine, corpo tollerantissimo della fatica e dello stravizzo, anima robusta, acuto ingegno, mediante il quale conosceva il suo tempo sì bene, che diceva: — Io vedo nella repubblica una testa senza corpo, e un corpo senza testa; quella testa sarò io».

Cercava singolarmente appoggio col blandire gl’Italiani. La gran nemica della libertà italica chi era? Roma. Chi fabbricava e ribadiva le catene a tutti i popoli? quella classe aristocratica, che come privilegio traeva a sè nobiltà, ricchezze, giudizj, e per conseguenza le potenti clientele e le magistrature. Si sovverta dunque il mal congegnato edifizio, e l’incendio di Roma divenga segnale dell’affrancamento di tutta Italia: i beni siano restituiti agli spropriati di Silla, distribuite terre ai nulla aventi, cassati i debiti: insomma il fallimento pubblico, la sovversione sociale. — I soffrenti non troveranno un difensore fedele se non scegliendo un uomo anch’esso soffrente, i poveri, gli oppressi qual fiducia potrebbero riporre in promesse di ricchi e poderosi? Chi vuol riavere il perduto, ripigliare il maltolto, guardi ai debiti miei, alla mia posizione, alla disperazione mia: agli oppressi, agli sgraziati fa mestieri d’un capo ardito e più sgraziato di tutti»1.

Eppure un tal ribaldo osava presentarsi a domandare il consolato; tanto fidava nella briga de’ suoi e nel denaro. Il senato gli oppose che dovesse in prima scagionarsi delle accuse di concussione dategli dagli Africani; col che lo rimosse, e fece prevalere nella domanda Cicerone, caro all’oligarchia senatoria che se l’era guadagnato, ai cavalieri al cui ordine apparteneva, agl’Italiani come Arpinate, alla plebe come uomo nuovo.

Catilina per dispetto accelerò la congiura già preparata, che da basso ladro e assassino lo convertisse in gran cospiratore, e alla quale aveva guadagnato cavalieri, senatori, plebei, d’ogni sorta scontenti. Tra la costumanza vulgare d’attribuir sozzure o atrocità alle congreghe secrete, tra l’interesse dei ricchi a screditarlo, non era infamia che non si bucinasse sul conto di Catilina e de’ suoi: suggellarsi i loro giuramenti col tuffare tutti insieme le mani nelle

  1. Così lo fa parlare Cicerone.