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rito il riposo di un’ora. Le ombre di secoli e di secoli apparivano a me ritiratomi nella notte in alto sul Capitolino, a guardare il foro, ad assaporare la ineffabile commozione dell’ora possente, che fluiva da un destino, che si perdeva infinitamente nell’oscurità del passato, a un destino lampeggiante di bagliori e misteri; ma chiaro nelle sue prossime forme.

Giungevano dal cuore della Città i canti di guerra dei chiamati alle armi ed erano i canti dei vecchi; e pareva quello il primo legame col passato che io rivedevo fra le rovine, fra i boschi sacri, nel cerchio sacro di Roma.

Mi apparvero allora due maestà, due sostanze di un tutto talora armonico, talora diviso, talora sperduto, in una confusione sacrilega: — Italia — Roma.

Un più alto canto mi giunse distinto nella notte come un multanime grido di riscossa; ed io, quasi fossi preso alla gola dalla potenza della solitudine e dalla presenza della patria, che sentivo intorno a me ed in me, forse come non mai, gridai nella notte sacra: — Italia! Italia! Italia! Prima di Roma e dopo Roma, in eterno!


Il canto della patria empivami di sussulti. Il ricordo così armonioso fraterno ed umano di quel figlio ignoto del popolo, mi era diletto all’anima e mi rendeva ansioso di risalire il corso di quella potenza che si risvegliava un’altra volta, ed intera.