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Una brigata dava il cambio ad un’altra che sopravveniva.

Sulla strada sconvolta dalle granate un reggimento s’avviava alle trincee di Oslavia.

La strada appariva brulicante alle improvvise luci dei razzi e a degli scoppi degli shrapnesl, che il nemico, come consapevole del transito, inviava.

Appariva la turba armata, carica di fardelli e d’armi, curva. Il passo galoppante di qualche traino scompigliava le file. La vita umana pareva meno importante di una cosa che le rote schiacciavano. Non un grido nella notte: non un rumore non necessario, solamente qualche bisbiglio: domande ansiose, ommonimenti.

Gli uomini procedevano con apparenza angosciosa a gruppi a file che si rompevano e ricomponevano.

In un tratto, presso un bivio non riparato dal tiro nemico, le palle di una mitragliatrice austriaca sul Sabotino passavano via miagolando. Era come un tranello: una ventina di colpi, di rapidi toc toc, e poi taceva e ricominciava all’improvviso.

Un carabiniere fermava a tempo il passaggio, nel buio, con gesto che nessun profano avrebbe veduto.

Improvvisamente una granata di piccolo calibro sì avventò sibilando sulla turba e scoppiò.

Vi videro gli uomini ritrarsi in quel punto sui lati della via, come gli armenti: si vide sollevare qualche ferito e la marcia continuare.

Io andavo contro corrente: venivo da dove quei fratelli andavano.

Ed ecco, la luna, rompendo nuvole paurose, apparve rossa dietro San Floriano, lì prossimo.