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congiura a bordo. 119

vozioni alle città sante, ritorna ai suoi lari per la via di Suez e di Bombay.

Partiti che fummo, il tempo si mantenne bellissimo per ben tre giorni, ed il navigare in tal guisa era una vera delizia. Alla fine del terzo, il capitano, osservando il cielo vergarsi di sottili cirri d’aspetto peculiare e l’orizzonte farsi torbido, come polveroso, ordinò si ritraessero immantinente le tende, ed avvisò che in breve avremmo incontrati gli elementi meno propizii. Il pronostico si verificò in parte, inquantochè l’indomani, mentre solcavamo le onde azzurre e spumose dello stretto di Giabal, si sprigionò una tramontana così potente da ridurre la velocità del legno da sette a quattro miglia l’ora. Di più, volle il contrario destino, che, verso sera, perdurando la violenza del vento, si spezzasse improvvisamente uno dei due cilindri della macchina, e questa fosse però resa immobile. Il vapore, che già era un bel tratto innanzi nel golfo di Suez, prese rapidamente l’abbrivo a ritroso del suo cammino, trascinato dal vento e dalla corrente, risultando vani gli sforzi tentati per dirigerlo od almeno per frenare la sua corsa. Il capitano avea ordinato bensì che si spiegassero certe vele, colle quali egli si lusingava di padroneggiarlo, ma i gabbieri, incapaci di eseguir il comando, se le lasciarono fuggir di mano e non seppero riafferrarle, o non vollero per timore di essere sbalzati in mare.

Pertanto le vele sbattevano con uno strepito infernale e la nave correva diritta sulla costa d’Africa, di cui la luce fioca della luna, ancorchè velata di nubi, ci consentiva di scorgere le più minute particolarità. Gli ufficiali avevano perduta la bussola; si portavano da poppa a prua, davano ordini e contr’ordini, gridavano, scongiuravano, non intesi nè secondati dai marinai, inetti e pusillanimi. Fra i passeggieri l’ansietà era al colmo e contribuivano ad accrescerla le voci allarmanti che andava spargendo, con pravi intendimenti, un malvagio Medinese. Costui asseverava essere omai inevitabile la perdita del bastimento, aggiungendo che il comandante ed alcuni Europei si erano accordati per impadronirsi delle lancie e salvarsi ad esclusione dei buoni musulmani. La perfida calunnia, accreditata dalla paura, fomentò tra quei della Mecca e di Medina una congiura, collo scopo di prendere possesso a mano armata delle migliori imbarcazioni per mandare a vuoto i supposti progetti