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110 viaggio nel mar rosso e tra i bogos.

cupato. Giunta la sera, ci tratteniamo a dormire in una spianata adiacente alla valle. Non così il dì vegnente, che approdati ad Assus, lungo la via già nota al lettore, e sopraggiunta la notte, si continua a camminare nell’oscurità infino al monte delle scimmie, alla cui base pigliamo un po’ di riposo, senza nemmeno far la solita siepe di spini ed accender il fuoco, per risparmio di tempo. I cinocefali, disturbati ad ora insolita nei loro sonni, ne traggono vendetta interrompendo sovente i nostri con rauchi muggiti.

Al momento di montare a cavallo per rimettermi in viaggio, la mula imbizzarrita a causa della stanchezza e delle busse che i miei uomini non le avevano risparmiate, mi avventò un tal paio di calci sul petto che ne rimasi sbalordito; laonde io posso con ogni ragione asserire di non aver incontrato in Abissinia belva più feroce di quella. Tuttavia balzato in sella a dispetto dell’animale ribelle, mi avviai lentamente pel mesto vallone, e valicate le ultime colline mi si parò davanti la desolata landa del Samhar. Il sole sorge intanto sfolgorante in un orizzonte rosso e polveroso e più s’alza e più i suoi raggi cocenti si aggravano sulle nostre teste, come cappe di piombo. Addio ombre ospitali dell’antica selva, aure vivificanti delle montagne, lieto cinguettar d’uccelli, mormoranti rivi! Tutto ciò è scomparso. Qui gli alberi brulli di foglie, irti di spine, non danno ombra; qui non spira brezza, ma aria infuocata e maligna che asciuga le fauci e toglie il respiro; qui sono muti gli uccelli e i fiumi inariditi. Poichè ci slam condotti fino al greto del torrente Desset, la prudenza ci consiglia a non proceder oltre, finchè non sia scemata la vampa soffocante delle ore meridiane; ed infatti ci poniamo a giacere e a dormicchiare sotto le acacie, parandoci alla meglio il sole coi nostri panni appesi ai rami a guisa di tende.

Quando fui sopra i poggi che sovrastano Moncullo, prima ancora di scorgere il mare e le case imbiancate di Massaua, vidi chiaramente all’orizzonte il fumo e gli alberi d’un piroscafo; e sentii crescermi la lena e centuplicarmi la fretta. Un vapore in porto significava per me l’arrivo di lettere e di notizie che io bramava più ardentemente di quanto non anela ad una fresca sorgente il viaggiatore smarrito nel deserto; quella nave era inoltre una speranza, anzi una promessa di sollecito e lieto