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Epistole Elegiache composte allora dal Poeta Porcellio Napolitano, che in quella Corte abitava, converrà dire che il Padre non solamente non vi desse il suo assenso, ma che con disgusto pur ciò dovesse sofferire. La prima di esse Elegie del Porcellio si finge scritta da Isotta a suo Padre per difesa della propria condotta, onde piegarlo a tollerare la continuazione delle sue pratiche con Sigismondo, e vi confessa che, dopo aver fatta lunga resistenza al Dio d'Amore, ha dovuto cedere in quella guisa, che per la forza di lui cedere dovettero a Giove tante Donne da questo amate, adducendo molti altri antichi esempi della violenza d'amore, a cui non è possibile di far resistenza. Nella seconda Elegia risponde il Padre alla figliuola, e dopo averle detto che il rossore da lei provato, com'ella confessa, in iscrivergli, è una prova del suo rimorso, e quindi della sua cattiva condotta, cui poi inutilmente cerca di giustificare; le rimprovera il suo coraggio di volere ch'egli approvi quant'ella fece di suo capriccio:

Non facile rebus pudor immiscetur honestis,
Seque ipsum prodit, quem pudet ore loqui,
Ex me tu veniam nunc demum quaeris amandi,
Ut quod sponte prius feceris, ipse problem.

Le dice che amore non fu altrimenti un Dio, ma che viene finto un Nume dalla libidine, onde corprire questa sotto l'ombra d'una divinità