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dine di vita, e ingentiliti dai loro costumi, appena sbarazzati dai greci, avrebbero potuto ricomporre le disgregate parti della penisola in una potente nazione.

Egli è indubitato che di tutti i popoli della Germania, i quali invasero i varii stati d’Italia dopo la caduta dell’impero romano, era da preferirsi il longobardo, non pure per la sua prodezza, ma più ancora per essere stato il più umano dei popoli nordici e il meno ritroso alla civiltà. Laonde per avere i longobardi, dopo non lungo avvicendarsi di casi, abbracciata la religione dei vinti, e per la loro fusione con gl’indigeni mediante le leggi, la divisione delle terre, e lo studio del loro idioma, se, come riuscì ai Franchi nella Gallia, avessero potuto estendere la loro dominazione su l’intera Italia è a ritenere che da un tal fatto potea derivarne un vantaggio inestimabile agli italiani. E invero in questo caso sarebbe addivenuta l’Italia da parecchi secoli una nazione, e non ci saremmo resi ludibrio ai popoli stranieri — di noi non dirò già più civili, ma solo meno infortunati — per tante misere gare municipali,

 « . . . . onde insozzò la bella
   Natia contrada la divisa gente
   Di sangue una, di culto e di favella.»

Ma se si consideri che i longobardi anche ai tempi della loro maggiore potenza non seppero debellare del tutto i greci, nè togliere stabilmente ad essi i loro possedimenti; (Cesare Balbo) egli è a convenire che difficilmente per opera loro si sarebbe potuto conseguire l’unità italiana; tanto più che l’interna costituzione dei longobardi, e l’istituzione di tanti conti e gastaldi, mal fidi sempre alla corona, ne scemavano di assai il potere. E però, essendo venuta la città di Benevento in sì misere condizioni, durante il dominio degli ultimi suoi principi, egli è innegabile che l’estinguersi dalla loro prosapia non fu un novello peggioramento pei beneventani, e che la donazione di Benevento alla santa sede nocque solamente in questo, che essa per un tal fatto fu separata dal reame di Napoli, senza di che sarebbe forse da