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CAPITOLO XIII.


Nel 1002 Enrico III imperadore, che con varie concessioni era divenuto amico ai Normanni, i quali aveano estese di molto le loro conquiste, soggiogando Longobardi, Bizantini e Saraceni, si avviò da Capua a Benevento, dove non fu ricevuto dai cittadini, sia per la investitura data a Drogone, fratello del conte Guglielmo, (Ostiense lib. 2, cap. 29.) di alcune terre tolte dai normanni al principe di Benevento, e sia per le donazioni che gli imperadori Ottone I ed Enrico II fecero alla S. Sede, con le quali riconfermarono, dopo sì lungo corso di tempo, le donazioni di Pipino, Carlo Magno e Ludovico. Indignato per un tanto oltraggio, Enrico III instò ed ottenne che il pontefice Clemente II, che era seco, scomunicasse i cittadini. E non pago di tanto, investì i normanni di tutto il principato beneventano, escludendone la sola città di Benevento, che fu da lui dopo qualche tempo concessa al papa Leone IX, assunto al ponteficato nell’anno 1049, il quale gli rimise in perpetuo il censo che si dava ai papi per la chiesa di Bamberga. E qui è a sapere che quando Benedetto VIII trasse in Francia a consacrare la Chiesa di S. Pietro in Bamberga, e dichiararla Cattedrale, si riserbò il dritto di un annuo censo, di un cavallo bianco con tutti i suoi arredi, e di cento marche di argento da doversi pagare in ogni anno alla chiesa Romana. E però volendo l’Imperadore Enrico esonerare la chiesa di Bamberga da questo censo che reputava indecoroso, e dalla dipendenza della chiesa Romana, offrì a questa, in ricambio dei dritti acquistati sulla chiesa di Bamberga, la città di Benevento; e non a dire se una tale permuta fosse stata accettata con giubilo dal pontefice Leone, che a un sì bell’acquisto tenne sempre volta la mira. In tal modo una si famosa città fu ceduta per cento marche annue d’argento ai papi, i quali non rinunziarono neppure, incredibilia sed