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che alle terre del principato di Benevento e di Capua, morì in questa ultima città nell’anno 910.
Landolfo che, associato al governo del principato, dimorava in Costantinopoli, come udì la morte del padre, non fu lento a ridursi in Capua, per impedire che qualche emulo gli avesse potuto disputare la corona di principe, e, imitando in ciò il padre, si associò al governo il germano Atenolfo II, dando così principio a un’èra novella del suo principato; il che, come afferma il de Meo, in contraddizione del Pellegrino, e come rilevasi da documenti autentici, ebbe luogo sul finire dell’anno 910. Landolfo risedette in Capua e Atenolfo in Benevento, e nei diplomi dell’uno e dell’altro si segnavano sempre le carte con in fronte amendue i loro nomi.
In quel tempo giunse ai confini del principato l’armata greca condotta dal patrizio Niccolò Piccigli, uomo di molto accorgimento e assai prode della persona, il quale, confederatosi con Girolamo duca di Napoli, con Giovanni duca di Gaeta, con Gurimondo principe di Salerno, coi principi di Capua e di Benevento, e con lo stesso Pontefice Giovanni X, trasse fiducioso a combattere i saraceni, che rinchiusi nella rocca eretta sul fiume Garigliano, di volta in volta traevano a devastare le provincie finitime. I saraceni difesero per tre mesi con molta bravura la rocca, ma poi, stremati di viveri, diedero fuoco alla fortezza e ai tesori con tante rapine adunati, e, serratisi insieme, aprironsi coll’armi in pugno un varco tra mezzo alle schiere nemiche, e corsero chi a nascondersi nelle selve vicine, e chi a tentare uno scampo sulle vette de’ monti, ma la più gran parte di essi fu trucidata, e solo a pochi venne dato di refugiarsi sul monte Gargano, ove edificarono una nuova rocca.
Dopo i fatti accaduti sul Garigliano, gli alleati, non avendo per allora altra impresa a compiere, si separarono; ma i saraceni, superstiti alla gran rotta, avendo ricevuto i chiesti rinforzi, ripigliarono le antiche scorrerie, capitanati da un certo Saklab, e in breve tempo occuparono Taranto, devastarono la Calabria, e poscia, accozzati in gran numero, trassero, sitibondi di vendetta, a cingere di assedio la città