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partito di Radelgiso, che, sebbene mandato in bando, era amatissimo da molti cittadini, i quali non desistettero mai di congiurare contro Gaidieri nella speranza di togliere ad esso il principato. E le mene del conte sortirono coll’andare del tempo un sì felice successo da corrompere le stesse guardie del principe, e, mercè il tradimento, ebbe Landone in suo potere l’incauto Gaidieri, che fu dannato a perpetua prigionia, e, sostenuto dalla maggioranza dei cittadini, fece eleggere a principe di Benevento il profugo Radelgiso II. Ma nell’anno 881 riuscì a Gaidieri di fuggire dal carcere, e, dopo breve dimora nella Francia, passò in Costantinopoli a invocare la protezione dell’imperadore Basilio macedone, che gli fece buon viso, e gli concedette il governo della città di Oria nel mezzodì d’Italia, donde non cessò mai di apportare molestie ai beneventani, e di macchinar danni contro coloro che gli aveano tolto lo Stato.

Intanto Radelgiso II, invaso dall’ambizione, e paventando un rivale al trono nel suo germano Aione, lo astrinse a prendere suo malgrado gli ordini sacri. Ma con tutto ciò il suo governo non fu punto tranquillo. I saraceni da Bari infestavano incessantemente le finitime contrade, e il pontefice Gregorio, bramoso di snidarli dall’Italia, invocò più volte l’efficace aiuto dei principi di Benevento, di Salerno e di Capua; ma costoro, anziché collegarsi insieme, e tentare un estremo sforzo contro il comune nemico, assistevano impassibili alle stragi, alle rapine, ai saccheggi, ed agli incendii di cospicue città. Indi, a loro eterna ignominia, i salernitani, i napoletani e gli amalfitani osarono allearsi coi saraceni, e ci gode l’animo di rilevare che in siffatta occasione i beneventani si tennero immuni da un tanto vitupero.

In così infelice condizion di cose l’imperador Carlo, germano al pio Ludovico, mosso dalle preghiere del pontefice Giovanni VII, trasferitosi a Salerno, astrinse il principe Guniferio a romperla del tutto coi saraceni. Ma Sergio duca di Napoli si rifiutò di seguirne l’esempio, per cui fu fatto segno all’anatema del papa, e Attanasio vescovo, suo germano, traendo pretesto dal suo biasimevole perseverare nell’amicizia