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cantando il seguente inno, che fu volgarizzato da Niccolò Tommaseo:

«Udite o confini della terra, udite con orror di tristezza il misfatto dei cittadini di Benevento.
«Imprigionarono Ludovico il santo, il pio, l’augusto.
«Radunato il Consiglio, Adelgiso parlò di morte, e tutti gridarono morte a Ludovico.
«Il re fu condotto al Pretorio dal superbo Adelgiso, ma il re pareva un santo gioioso d’avanzarsi al martirio.
«Però noi balzammo lo scellerato dal suo trono, e le turbe uscirono per essere spettatrici di un miracolo.
«Noi giuriamo per la religione di Dio di difendere quel regno, e di conquistarne un nuovo».


Ludovico e le donne furono incontanente menati prigioni in Benevento, e i guerrieri sbanditi. Il vescovo Giovanni, cui molto increbbe un tal fatto, perchè poteva attirare gravi disastri sulla città di Benevento, non trasandò preghiere e consigli per indurre il principe a rimettere in libertà gli augusti prigionieri, che languivano indegnamente nei ceppi, e seppe in ciò tanto bene adoperarsi che Adelgiso, annuendo ai suoi desiderii, mise a partito fra i suoi più intimi consiglieri e i primarii cittadini dello Stato, se dovesse restituirsi la libertà alla famiglia imperiale: e tutti annuirono a tale proposta. Ludovico e la sua donna uscirono dal carcere, ma fecero sacramento di non prendere alcuna vendetta dell’attentato, e di non mai varcare con armate schiere il confine degli stati beneventani.

L’imperadore, appena riacquistata la libertà, si recò in Roma, e in una gran dieta, che ebbe luogo nel giorno della Pentecoste, ove convenne anche il papa Adriano II, espose i suoi giusti reclami contro Adelgiso, cui fu dato del tiranno, e proclamato nemico della repubblica e del senato romano, e gli fu dichiarata la guerra. Ma tuttochè Ludovico fosse stato dal pontefice sciolto dal giuramento, attesa la gravità del fatto e la mancanza di libero consenso, pur tuttavia, per non mancare di fede, e per tema che gli si desse taccia di spergiuro, commise alla moglie la vendetta.