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done la cupidigia, trovò subito modo di metterlo nuovamente in grazia di Grimoaldo. L’anonimo salernitano asserisce che Grimoaldo fu tratto a morte dai figli di Dauferio coll’aiuto di un tale Agelmondo, uomo rotto ad ogni maniera di malvagità; ma Erchemperto per lo contrario narra che Radelghiso conte di Consa e Sicone Gastaldo di Acerenza, penetrati con inganno nella camera del principe infermo, lo finirono con varii colpi di spada; e io ritengo assai più probabile l’opinione dell’anonimo, la quale fu eziandio abbracciata dalla massima parte degli scrittori posteriori e dai cronisti locali.

Non è però a tacere che gli uccisori di Grimoaldo, non solo non colsero alcun frutto dal nefando assassinio, ma tutti chi prima, chi dopo, ne espiarono la pena; sicché in questo fatto parve avverarsi a capello la sentenza del poeta che

«. . . . . . ben provvide il cielo
«ch’uom per delitti mai lieto non sia.

E in effetti Agelmondo, subito dopo l’uccisione del principe, cadde in un fiero delirio, e col recere gran copia di sangue in tre giorni uscì di vita. E Dauferio, vinto dal rimorso di avere istigato i proprii figli ad uccidere il suo principe benefattore, per fare ammenda del suo fallo, trasse in abito da penitente, secondo l’usanza dei tempi, a visitare il santo sepolcro con un grave sasso sugli omeri, e quel sasso poi, come leggesi nelle nostre cronache, si serbò lunga pezza nella chiesa di S. Maria in Benevento.

E questa fu la miserabile fine di Grimoaldo IV, principe di Benevento, le cui non comuni virtù eguagliano per lo meno i difetti dell’avarizia e della leggerezza, di cui fu molto severamente ripreso da storici non imparziali, e con lui si chiude il periodo più glorioso del principato beneventano.