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picchiare al portone del Sabariani, intimandogli l’arresto. Questi, a quell’ora, ignorando il nembo che gli si addensava sul capo, discorreva o congiurava con quattro dei suoi aderenti, e a quella intimazione si negò di aprire, adducendo a pretesto che l’ora era inopportuna, per cui si minacciò di appiccare il fuoco al palagio. Allora il Sabariani e i suoi amici diedero di piglio ai fucili, e nello stesso tempo si fece suonare a stormo la campana della prossima parrocchia di S. Marco, che comunicava col palagio, noto poi col nome di palagio incendiato, affine di adunare i congiurati, i quali, per non avere avuto sentore di nulla, non risposero all’appello, Gli assalitori dopo molti colpi esplosi da amendue le parti, vedendo ferita una guardia nazionale, ed ucciso un sergente del governo pontificio, a evitare una maggiore effusione di sangue, con materie combustibili ivi recate, appiccarono da più lati l’incendio al palagio, astringendo in tal modo Sabariani e i suoi seguaci a uscirne per mettere in salvo la loro vita. E nel dì seguente, cioè nel 16 aprile, si procedette alla cattura di altri 24 cittadini, ritenuti complici del Sahariani, i quali un mese dopo furono spediti in Roma, dove fu compilata a loro carico una lunga processura. Il Sahariani e gli altri quattro congiurati, che erano con lui nella notte in cui ebbe luogo l’incendio del palagio, accusati di aver tentato di cambiare la forma del governo, soggiacquero alla pena di morte, che fu poi commutata in quella dei lavori forzati a vita e gli altri per difetto di prova furono assoluti. Ma anche i primi acquistarono la libertà in Roma nel tempo della fuga di Pio IX, quando nella metropoli del mondo cristiano alla signoria del papa successe per poco il governo popolare, ma poi, rimesso il papa nell’antica potenza, furono nuovamente incarcerati. Tre di essi, tra i quali Sabariani, perirono nel carcere, e a due fu ridata la libertà nel 1859. (Giacinto de Sivo, Memorie storiche del regno di Napoli, dal 1847 al 1861).

Altra specie di rivolta, chi il crederebbe? ebbe luogo non molto dopo nel nostro Seminario Arcivescovile, ove insieme ai beneventani insegnavano alcuni professori forestie-