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dicare col titolo di padre della patria. E neanche è a tacere che in un’epoca di generale ignoranza Arechi era dotato di una coltura assai rara pei suoi tempi, e prendeva diletto nelle sue ore di ozio di scrivere di storia sacra e profana.

E abbiamo di lui, oltre il suo editto, gli atti di S. Mercurio scritti in una forma se non aurea, almeno senza paragone migliore di quanto concedeva il secolo (Pugliese, Arechi, principe di Benevento e i suoi successori. Foggia). E coltivò anche la poesia, poichè leggesi nella cronaca Cassinese, che nella Bibblioteca di Montecassino si conservavano versus Arichis Pauli et Caroli.

Arechi ebbe solenni e pompose esequie, e per il suo sepolcro Paolo Diacono compose nobili e commoventi versi, che si leggono tradotti rozzamente in italiano da Scipione Ammirato.

Paolo Diacono, inconsolabile per la morte di Arechi, si ritrasse nuovamente in Montecassino, ove gli scrisse più volte Carlo Magno, a cui rispose sempre con serenità di animo, senza mai disdire l’affetto vivissimo che avea sempre portato al re Desiderio e al suo genero Arechi.

Nell’insigne tempio di S. Sofia si conservò per lungo andare di tempo la memoria di questo principe cotanto benemerito dei beneventani. E i canonici regolari di S. Salvadore di Bologna, i quali dal pontificato di Clemente VIII in poi tennero il monastero di S. Sofia, ricordevoli del sondatore di esso, si studiarono di tramandarne la fama ai posteri con diverse bellissime incisioni che ci furono conservate dagli storici locali. Ma in seguito i più preziosi documenti contenuti in questo monastero furono mandati in Roma dal cardinale Ascanio Colonna, e, alla sua morte, furono da Papa Paolo V fatti deporre nella Bibblioteca Vaticana (Meomartini).