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chissimo cittadino di Benevento, che nell’anno 779 vestì l’abito monastico, e donò alla Badia tutti i suoi beni, dopo di aver conceduto la libertà ad un gran numero di schiavi che possedeva.

Ma l’opera maggiore di Arechi fu certamente il famoso tempio di S. Sofia, dotato di tanta e sì faticosa perfezione da essere ritenuto a quell’epoca per il primo tempio della cristianità, e il quale non è a confondere con l’altro dello stesso nome eretto fuori le mura nel luogo detto ora Ponticello, e che fu costruito dall’abate Zaccaria. Il nuovo tempio di S. Sofia, monumento di fama immortale, e che da solo basterebbe ad eternare il nome di Arechi, fu edificato nel recinto della città, come affermano quasi tutti gli scrittori, e, a rimuovere su ciò ogni dubbio dall’animo dei lettori, sarebbe più che sufficiente la testimonianza di due scrittori contemporanei, cioè del tedesco Ferdinando Hirsch nel suo trattato sul ducato di Benevento, e del russo Paul Winogradoff, il quale ha testè raccolte e ordinate tutte le antiche cronache longobarde, e che, accennando alla chiesa di S. Sosia, scrive «Arechis infra moenia Benedenti templum domino opulentissimum ac decentissimum condidit, quod graeco vocabulo αγιαν σοφιαν id est sanctam sapientiam, nominavit». Questo tempio denominato di S. Sosia, che nel greco idioma suona divina sapienza, fu di forma circolare e venne decorato di bellissime colonne e di marmi peregrini. E siccome nell’Oriente le forme circolari furono predilette dagli architetti, così è probabile che il disegno di S. Sofia fosse stato offerto ad Arechi da architetti orientali (Meomartini). E ciò è pure ribadito dall’autorità di Gregorovius, il quale affermava che: «Il nome dato da Arechi al Monastero fa supporre delle relazioni bizantine, e la stessa costruzione della cupola sembra accennare a Bisanzio».

Il tempio di S. Sofia riuscì di tale ampiezza da non poter essere comparato per questo verso a verun altro tempio che fosse allora in Italia, e Arechi lo dotò d’una entrata che parrebbe favolosa ai nostri giorni; poichè dalle cronache paesane deducesi che essa coll’andare del tempo