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che lo astrinse a far ritorno in Napoli con la qualità di Conservatore del regio patrimonio, il quale ufficio sovrastava in quel tempo a quello di Presidente della Camera della Summaria, e nel 1541 fu poi nominato luogotenente della R. Camera.

Nel 1551 trasse a Parigi, ove da Enrico re di Francia, nemico di Carlo, fu elevato alla dignità di senatore del regno, ed ivi attese agli studii di Teologia, pubblicò nel 1556 un’opera sul digiuno e sull’orazione, e un’altra sulla Grazia e libero Arbitrio, per combattere le eresie prevalenti in quel tempo, e, come è fama, tenne anche pubblica disputa coll’antesegnano della riforma il celebre Calvino.

Indi tornò in Roma, bramoso di chiudere i suoi giorni nell’alma città, come egli scrisse, principio e termine del mondo. In Roma ebbe grande servitù col pontefice Paolo IV, che lo nominò suo consigliere e Cameriere segreto, e poi Commissario generale dell’Esercito pontificio e Prefetto dell’Annona della città, e infine governadore. Egli allora colmo di onori e di lucrosi assegnamenti pubblicò la principale delle sue opere, cioè: Repetitio ad L. Imperialem de prohib feudi alienat per Feder, lezioni dettate nella R. Università di Napoli, e un’opera teologica sul Purgatorio che fu dedicata in attestato di gratitudine al pontefice.

Il Camerario, giudicato il primo giureconsulto del suo tempo, trapassò nel gennaio dell’anno 1564, e fu sepolto nella cappella dei Colonna nella chiesa dei SS. Apostoli.

Niccolò Franco nacque in Benevento da ignobili ma onesti genitori nel 1505, secondo il Tiraboschi, e non già come ritengono altri scrittori nel 1515, e ne porge argomento il Franco medesimo, il quale nell’anno 1531 scriveva con molta libertà al re Francesco I di Francia, al principe di Melfi, a Mons. Leone Orsini Eletto di Fregius, al Duca e alla Duchessa di Urbino, e ad altre persone di elevato lignaggio. E non pare verosimile che in età ancora tenera di sedici anni si procacciasse tanto favore e tanta confidenza dei grandi.

Fu esimio cultore non pure delle lettere latine e italiane ma anche delle greche. Tradusse in ottava rima l’Iliade di Omero, e la sua versione comincia col verso