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appena gli fu dato di seguire con sicurezza il suo viaggio fece ritorno in Provenza, disperando di poter più ritentare l’impresa di Napoli, e in tal guisa ebbe fine la dominazione degli Angioini nel regno di Napoli.
Alfonso da quel punto trasferì in Benevento la sede principale del regno, e poi che ebbe interamente debellati i suoi nemici convocò in questa città un generale parlamento, in cui fece a tutti i baroni giurare di riconoscere a proprio successore nel regno il suo figlio naturale D. Ferrante, che prese il titolo di duca di Calabria. E poco dopo questo fatto, per meglio tutelare i suoi dritti su tutto il reame, chiese ed ottenne dal pontefice Eugenio l’investitura delle città di Benevento e di Terracina.
Tenne Alfonso il vicariato di tali città sino ai 27 giugno 1458 in cui passò di vita, e del suo governo conservaci tuttora negli archivii di Benevento assai documenti, i quali fan fede degli amplissimi privilegi d’immunità e libertà da lui conceduti ai beneventani, i quali poteano ben ritenere di dipendere solo in apparenza dal re Alfonso, e seppero in ogni occasione propugnare i loro dritti contro tutti coloro che tentarono qualche usurpazione in danno della città.
Nel tempo del vicariato del re Alfonso, Benevento soggiacque a gravissimi danni per causa di due terremoti accaduti nel 5 e nel 30 dicembre del 1450, pei quali caddero infranti la maggior parte degli edificii della città, e fra gli altri il magnifico tempio del Duomo, che fu quasi ridotto a frantumi, e, schiacciati sotto le macerie, perirono 350 abitanti.
Trapassato Alfonso senza legittima prole, lasciò erede del regno un suo figlio naturale per nome Ferdinando, ma il pontefice Calisto III, rifiutandosi di riconoscerlo, dichiarò che il regno era ricaduto alla S. Sede, ed avendo il pontefice posto l’animo a dare uno stato al suo nepote Ludovico Borgia, che fu da lui nel precedente anno creato duca di Spoleto e prefetto di Roma, lo nominò anche Vicario di Benevento e di Terracina, dandogli intera facoltà di tramandare questi dominii al suo successore. Ma una tanta libera-