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tro Federico II e Manfredi che contro alcun altro sovrano, e non vollero da ultimo venire con essi a niuno accordo ributtando le iterate preghiere del piissimo re di Francia Luigi IX, il fecero per la persuasione, in che erano entrati, che l’imperadore e Manfredi intendessero distruggere il principato politico della chiesa e riunire l’Italia, e che avessero animo e forze da colorire e mettere in atto il loro disegno.

Ma se gravissimi mali per più secoli derivarono a tutta Italia dalla disfatta del re Manfredi, le provincie del mezzogiorno d’Italia specialmente non fruirono più di alcun bene, e giacquero sin quasi ai nostri giorni in durissime condizioni.

Egli è saputo dai dotti che la prima luce di lettere italiane, come scrive il Colletta, spuntò in terra napoletana dalle colonie greche. Zaleuco si disse da Locri, Pitagora da Crotone, Archita da Taranto, Alessi da Sibari: e in altre età Ennio, Cicerone, Sallustio, Vitruvio, Ovidio, Orazio, Giovenale ebbero i natali sotto il nostro cielo. Ed io aggiungo che anche le lettere itallane ebbero la prima cuna in Napoli ed in Palermo nelle Corti di Federico e di Manfredi di Svevia; ove furono coltivate con inestimabile ardore dagli stessi sovrani, e dai primieri baroni, e maggiorenti del regno, i quali misero in onore la lingua volgare per gratificarsi il popolo. Ma quando alla Signoria degli Svevi, che intesero a unificare l’Italia, sottentrarono in Napoli le dominazioni degli Angioini e degli Aragonesi, i quali mostraronsi ostili ad ogni coltura, le lettere e la poesia, fuggitive da una terra

«Dalle grazie sorrisa e dall’amore,


presero a fiorire invece e, direi quasi, si trapiantarono nella libera Toscana, non potendo le lettere allignare in una terra contristata dal più immite servaggio, e queste provincie imbarbarirono nuovamente in breve volgere di tempo.

Inoltre durante la dominazione sveva erasi già cominciato a introdurre in parte nel reame delle due Sicilie le forme d’una temperata monarchia, poiché Federico II non