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deva come chi è stanco ed affaticato, e in atteggiamento di chi è avvezzo alla turbinosa ginnastica della riflessione.
I nostri padri avevano un Campidoglio, e innalzavano delle statue ai loro uomini benemeriti, e se ora volgono usanze ben diverse, non vi sia discaro, o novelli padri della patria, che la mia voce vi dimandi per il povero Orbilio un lembo delle vostre mura, in cui una modesta lapide ricordi al viatore il nome del nostro concittadino, e l’animo memore e gentile dei non degeneri nepoti.
CAPITOLO XII.
Ma più che per altri benefizii Augusto si ebbe l’affetto dei beneventani, per avere restaurato il tratto della via Appia che da Capua conduceva a Benevento, il quale contribuì tanto alla florescenza della colonia romana. Niuno dei patrii scrittori trasandò di trattare della Via Appia che entrava in Benevento, e de’ due rami pei quali n’usciva, ma il Garrucci specialmente, mediante accurate osservazioni sulle colonne milliarie scoperte nei luoghi che percorreva la detta via, e su varie lapidi rinvenute in Benevento, non lascia luogo a dubitare sul corso dei tre anzidetti rami della via Appia.
Appio Claudio fu il primo autore della via che prese il nome da lui, e il quale, scrive Frontino, la condusse fino a Capua; nè avrebbe potuto nel 442 protrarla più oltre, perocchè in quell’anno i Romani non estendevano il loro dominio al di là della Campania, Augusto proseguì la costruzione della via Appia, e la mandò a termine, secondo le più probabili congetture, nel 741.
Rimarrebbe ancor dubbio se Augusto assicurasse, ovvero lastricasse di selce il tratto di via che da Capua conduceva a Benevento, se la esperienza non ci rendesse certi che egli dovette necessariamente condurla con la ghiaia, non