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CAPITOLO IX.


Un’armata Romana stanziò lungo tempo ancora in alcuni luoghi del Sannio per assuefare i Sanniti a tenersi sudditi di Roma, e, malgrado l’incessante guerra di dieci lustri e la distruzione di tante borgate e città, fu scoperta sì grande copia d’oro e di argento in quasi tutte le contrade del Sannio da far fede delle floridissime condizioni di quelle gloriose repubbliche innanzi la funesta guerra coi romani. E forse le dovizie sannite furono il mal seme primiero che corruppe l’antica semplicità de’ costumi Romani, per cui volsero in basso le gloriose virtù repubblicane, e l’amore smodato del lusso ingenerò ne’ romani quelle turpi passioni che produssero in prima il dispotismo militare, e quindi la caduta della repubblica.

La nuova pace de’ Romani con i Sanniti neanche durò assai tempo, perchè questi, ogni volta che se ne porgeva l’occasione, alleavansi coi nemici di Roma, e sebbene fossero stati rotti due volte in battaglia da Dolabella e dal proconsole Emilio Barbula, non rimettevano ancora della loro tenace e magnanima risoluzione di contendere il possesso del patrio suolo al nemico, per cui fu mestieri al Senato di spedire contro di essi con numeroso esercito Fabio Massimo, dal quale, dopo mirabili prove di valore, furono vinti in modo da deporre ogni idea di resistere più a lungo alla temuta potenza di Roma.

In quella avendo i Tarentini arrecato un gravissimo oltraggio ai Romani, questi commisero al console Emilio Barbula che dal Sannio si trasferisse coll’esercito a Taranto, e vi facesse gagliardamente la guerra. Ai Tarentini si congiunsero molte città greche, nonché i Messapii, i Lucani, i Bruzii e i Sanniti, e con tali aiuti potettero allestire un esercito di 350 mila fanti e 20 mila cavalli, ma perchè privi di

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