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niti di Capua:— Noi siamo i più forti, a noi spettano adunque questo cielo ridente e queste contrade tanto predilette dalla natura— . Infelici! che non seppero impugnare concordi le armi, allorquando la burbanzosa avidità romana cercò di attentare alla loro indipendenza; e non conobbero che invincibile è quel popolo unito che combatte unicamente per la propria difesa, risoluto di viver libero sul suo suolo natale o di morire per esso.


CAPITOLO V.


La popolazione del Sannio intanto era divenuta assai numerosa, e perciò i Sanniti della confederazione, parte indotti dal bisogno, e parte mossi pure dall’ambizione, volsero l’animo a insignorirsi delle poche terre occupate dai Sidicini, popolo imbelle, d’origine osca, inchinevole a servire chiunque si fosse dichiarato propenso ad assumerne la difesa contro le aggressioni dei popoli vicini.

I Sidicini, veggendosi piombare addosso tanta ruina, si chiusero in Teano, città che or direbbesi capoluogo del paese da essi abitato, e che si distendea su vaghe colline tra il Liri e il Volturno. Ma siccome ad essi non dava l’animo di attendere soli l’attacco d’un sì poderoso nemico, così invocarono il presidio dei Campani. Costoro, traendo in ozio imbelle la vita, mancavano di un giusto concetto delle proprie forze, e reputandosi, come di numero così anche di valore, non punto inferiori ai Sanniti della confederazione, non istettero in forse di annuire all’invito, e sconsigliatamente spedirono molta mano di armati alla difesa di Teano.

I Sanniti della confederazione, fremendo d’ira per un tanto oltraggio, giurarono l’esterminio dei Campani, e mentre una parte della loro fanteria era intesa a impedire che gli assediati irrompessero dalle mura, il fiore della loro armata si mosse contro gli sprovveduti Campani, che inavvezzi