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CAPITOLO III.


Un tratto non molto ampio di paese nel centro quasi dell’Italia era occupato dai Sabini, i quali, dati alle armi e d’indole bellicosa, seppero a lungo serbarsi incolumi da straniere invasioni. Niente si ha di certo sulla loro origine, ma quasi tutti gli eruditi sono uniformi nel ritenerli di origine osca; benchè i greci e i romani riferissero la loro origine ai Lacedemoni, e una tale credenza, tenuta a vile da Virgilio, trovò facile ascolto nei numerosi fautori delle origini greco–italiche.

Giaceva la Sabina tra l’Umbria e il Piceno, i Vestini ed i Marsi, il Tevere e il Teverone, con un territorio di circa cento miglia, quasi in ogni verso circondato dagli Appennini, quantunque in appresso il suo popolo si estese anche sulla sinistra del Tevere e nel vecchio Lazio.

Quella copiosa popolazione si vivea in molte borgate alle quali era centro la città di Cure, che sorgeva a cavaliere di un colle in vicinanza alla riva sinistra del fiume Correse nel punto chiamato Monte Maggiore.

I Sabini, vissuti sempre tra le rupi e le forre dell’Appennino, divennero di generazione in generazione sempre più robusti e bellicosi, e potettero quindi fronteggiare tutti gli stati vicini, e serbare la loro indipendenza contro le tentate aggressioni degli Umbri e degli Etruschi. Erano anche temperati, di severo costume e d’animo leale, per guisa che di assai lode gli furono larghi gli antichi scrittori. Essi attesero con molto amore alla agricoltura, e mediante una rara operosità, conseguirono molta opulenza, per la quale, deponendo man mano la primitiva rusticità di vita, si piacquero del lusso degli Etruschi, e cominciarono a imitarne le usanze. Erano istrutti nell’architettura e si reggevano con libere forme di governo.