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Sono ancora indicati quali impiegati gli sculdasci e gli actionarii. I primi sopravvegliavano le singole località dei più rilevanti distretti, e agli ultimi era affidata l’amministrazione dei demanii, e da ciò si deduce che gli uni e gli altri erano impiegati subalterni dei Gastaldi, e addetti al servizio del duca che li nominava, e ognuno di essi nella cerchia delle sue attribuzioni era astretto a eseguirne gli ordinamenti.

All’autorità dei duchi in Benevento non era frapposto alcun limite, e la dignità ducale si rese ivi ereditaria, appunto per sottrarre il ducato a qualsivoglia ingerenza della monarchia. Gli impiegati erano tutti devoti al duca, il patrimonio pubblico era suo, e le pubbliche entrate versavansi esclusivamente nelle sue casse. I duchi esercitavano la. suprema giurisdizione nella periferia del loro territorio, i minori, le donne, le chiese e i monasteri sottostavano alla potestà ducale, e la loro influenza preponderava anche nella elezione dei vescovi. Insomma i duchi di Benevento erano del tutto indipendenti, e quasi autocrati nell’interno; e tali si mantennero anche nelle esterne relazioni dello Stato. Infatti essi erano gli arbitri della guerra e della pace, e solo un vincolo apparente di dipendenza riannodava il duca di Benevento e lo Stato alla monarchia longobarda, e ne fa prova che anche nelle più solenni assemblee non soleano intervenire nè i duchi nè i loro delegati.

Adunque pei duchi di Benevento la loro primitiva carica era addivenuta col tempo una dignità da sovrano, e degna di un sovrano era per certo la sua corte. Il duca Romoaldo, come risulta dai più autentici documenti, si denominava in tal guisa. «Noi gloriosissimo signore, sommo duca del popolo longobardo». E similmente, o presso a poco, usarono i suoi successori. I duchi di Benevento, per serbare il prestigio del loro grado, si davan cura di contrarre nozze con donne per lo più di regii natali, e le loro mogli erano sempre o principesse reali, o figlie di altri duchi egualmente potenti, e fu il solo Grimoaldo I, assunto poscia al regno d’Italia, che fece sua moglie una propria schiava,