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ne di preti romani, speditigli dal pontefice con ricchissimi doni, per esortarlo a desistere dal proposito di ulteriori conquiste. Gisulfo, piissimo com’era, diede benigno ascolto alle parole mandategli a dire dal pontefice, e non indugiò a far ritorno in Pavia, rimettendo in libertà tutti i prigionieri; però le città conquistate, troppo ricca preda pei vincitori, soggiacquero al dominio dei longobardi, e in tal modo il confine del ducato da quella banda si estese sino al Garigliano.

In quel torno di tempo il regno di Pavia fu invaso da Alai duca di Bergamo, e, volgendo assai dubbiose le sorti della guerra, tanto il re Cuniperto, quanto il duca di Bergamo, mandarono ambasciadori a Gisulfo, per chiederne l’alleanza e indurlo a secondare i loro disegni. Ma egli, abborrendo di prender parte in quella impresa, addusse a pretesto del suo risiuto che, mentre i greci si apprestavano a invadere il ducato di Benevento, avrebbe messo in pericolo la sicurezza de’ suoi sudditi col l’assottigliare la sua armata in una spedizione, da cui niuno vantaggio potea ridondare a’ suoi stati. Nè un tal pericolo era poi del tutto immaginario, poichè infatti il greco imperadore intendea romperla interamente coi beneventani, e, condensando in Italia tutte le sue truppe, tentare uno sforzo per investire da più lati il ducato; locchè non potè poi mandare ad effetto per le gravi discordie insorte tra i soldati greci.

Gisulfo, negli ultimi anni del suo governo, mosso dalla gran fama di santità di Paldo, abate dell’insigne monastero di S. Vincenzo sul Volturno, imprese un viaggio a quella volta, per sincerarsi se la fama uguagliasse i meriti d’un sì preclaro cittadino di Benevento, o fosse stata in parte menzognera. Ma, appena vi giunse, ebbe a rimanere ammirato degli austeri e santi costumi che scorse non solo nell’abate, ma in tutti gli altri monaci che abitavano quel monastero. E per questo, volendo in qualche modo cooperare al bene di quella pia congregazione, largì al monastero di S. Vincenzo molta estensione di paese, affinchè i monaci