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mosse alla volta di Lucera, città in quei tempi assai ricca e popolosa, che fa da lui data a sacco e alle fiamme. Ma dopo una tale vittoria si accampò sotto le mura di Benevento, ove pose in opera tutti i trovati dell’arte della guerra per espugnare la famosa metropoli del ducato.

Egli la cinse dalla parte orientale, meridionale ed aquilonare, e narrasi che l’esercito attelato sotto le sue mura occupava due miglia quasi di larghezza, e che le principali macchine da guerra avanzavano in altezza le stesse mura di Benevento, e che tra esse vi erano di quelle che, secondo l’uso dei tempi, lanciavano delle enorme pietre nell’interno della città.

Romoaldo, sin dal primo avanzarsi dell’armata nemica, spedì il suo fidatissimo balio Gesualdo a dar contezza al padre del gravissimo pericolo che sovrastava alla città di Benevento, instando per la urgenza dei soccorsi, e intanto con la sua piccola schiera difendeasi francamente, tentando con reiterati assalti d’interrompere i lavori d’assedio dell’inimico. E un’eletta squadra di guerrieri usciva di frequente dalla città, piombando d’improvviso sui nemici, e uccidendone in gran copia. E in queste audaci sortite molti beneventani fecero prova d’inaudito valore. Ma sebbene delle loro gesta per la lunga età trascorsa

«Debol aura di fama a noi ne giunse»;


pur tuttavia mi si potrebbe giustamente dare biasimo se mi tacessi di due soli, di cui fan parola prestanti scrittori patrii e tutte le cronache locali. Uno di essi fu un tal Costanzo cittadino beneventano, il quale, prodissimo nel combattere e di rara prudenza nei consigli, fu la causa prima di quell eroica resistenza, e anzi Gio: Nicola Eustachio gli attribuisce esclusivamente la gloria di avere astretto l’imperadore Costante a levare si assedio: «Nihil vero audacius Constantio qui graecorum Imperatorem urbem obsidentem expulit». Ed è anche celebrato dai nostri scrittori per il raro coraggio e valore, di cui diede prova in quell’assedio, un tal Arnaldo