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intese significare la Dacia due volte debellata in guerra da quel Cesare. In sondo il solito albero di alloro o palma; il che rivela che in tale quadro il sommo artefice si propose descrivere l’ambasceria dacica accolta da Traiano nel campo, e non già quella ricevuta in Roma innanzi al senato, e con tutta la pompa imperiale.

Il simulacro poi che segue quello di Traiano, e che gli pone la mano sul petto, per renderlo pietoso a Decebalo, è certamente Claudio Liviano, Prefetto allora del Pretorio in luogo di Suburrano, a cui era stato consentito di ridursi a vita privata.

VI.

Dalla stessa facciata esterna

Partamasiride al campo di Traiano, e l’Armenia
ridotta a Provincia


Questo basso rilievo rappresenta Traiano che a sè dinanzi mira supplichevole Partamasiride re dell’Armenia, da lui soggiogata e ridotta a provincia romana. Partamasiride in lunga guerra difese da eroe i proprii stati, comechè in tale impresa si giovasse Traiano del più prode de’ suoi duci, che fu Lucio Quinto nativo della Mauritania, asceso indi a poco al consolato. Partamisiride dopo varie disfatte, caduto d’ogni speranza, trasse al campo dell’eroe, dal quale ebbe salva la vita, ma non potè conseguire il possesso dell’Armenia.

La statua di Partamasiride dalla irsuta barba fu scolpita nel mezzo: a destra si vede quella di Traiano semplicemente togato, in atto di accogliere favorevolmente il vinto re, e con in mano il solito rotolo; forse quello del decreto che riduceva l’Armenia a provincia Romana. A sinistra del re barbaro si scerne la statua del figlio di Giunio Bruto che allora era al governo della Cappadocia, e che scorta a Cesare il vinto re dell’Armenia. Si scorge infine nell’angolo la solita testa di Adriano che agevolmente si discerne alla