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Nella colonia beneventana, massime allorchè estendevasi alla provincia di Puglia, invalse il costume di erigere statue con onorevoli iscrizioni non solo ai Cesari, ma altresì ai più chiari cittadini di cui ebbero a lodarsi. E si ha memoria che prima dei tremuoti, i quali produssero la ruina di tanti edifìzii, vedeansi assai di esse statue, però dopo il tremuoto del 1688, ne avanzarono pochissime; ma di mezzo busti, nonchè di bassi rilievi rappresentanti donne ed uomini sì vivi che defunti ne è assai copioso il numero, e se ne mirano gli avanzi in ogni canto di Benevento.

Il gran leone di marmo che, rinvenuto tra le macerie dell’antica rocca beneventana, fu eretto su una colonna di marmo pario intagliata a rabeschi a capo della piazzuola che si dimanda del Castello, ci porge occasione in questo luogo di accennare alla bella questione dello stemma beneventano.

Fu ritenuto finora, mercè una volgare tradizione, a cui fecero buon viso i nostri maggiori, che esso consistette nel cinghiale allusivo al celebre cinghiale caledonio, ucciso da Meleagro zio di Diomede ne’boschi dell’Etolia. Una tale opinione però non fu mai avvalorata da altra prova che da un basso rilievo di marmo pario infisso nel campanile dell’arcivescovado, il quale ritrae una scrofa precinta da una stola. Ma è a considerare in prima che un tal basso rilievo si riporta a un’epoca assai meno remota della fondazione della città, e in secondo luogo non può neanche essere ritenuto come un ricordo della caccia di Meleagro, poichè è noto che la scrofa pregna era l’animale, come innanzi è detto, che ad Ercole e a Cerere s’immolava in olocausto il 21 decembre. (Macr. Satur. l. 12): ad d. XII. K. Ian.Herculi et Cereri faciunt, sue praegnante, panibus, mulso. Ci avanza ancora un’epigrafe che si riferisce a un tale sacrifizio ed è la seguente: