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mine e per rimorsi senza misura espiata la colpa di un istante di delirio. Oh quante volte prostrato nella polve, quante volte ho implorata la misericordia di questo sommo Ente, affinchè voglia darmi finalmente un contrassegno del suo perdono, e concedermi di morire!

Fin qui arriva quello ch’io scrissi in piè volte. Era mia mente lasciarvi questa ricordanza di sventure e di colpe, affinchè la leggeste quando io più non fossi.

La preghiera che sollevai al Cielo venne finalmente ascoltata. Voi foste spettatore degli atti d’interna commozione ch’io manifestai nella trascorsa sera, allor quando le volte del tempio, ove stavamo in compagnia, ripeteano le voci indicanti l’olocausto fatto di se medesimo dal Redentore del mondo. Io udiva allora una voce che perveniva al mio orecchio di mezzo alla musica, e crescea sopra le note dell’organo e i sonori canti del coro... essa mi parlò in tuono di celeste melodia... essa mi promise mercede e perdono; ma chiese ad un tempo una piena assoluta espiazione da me. Mi accingo a darla. Domani mattina io mi sarò già incamminato alla volta di Genova per consegnarmi colà, io stesso, nelle mani della giustizia. Voi che commiseraste i miei patimenti, voi che versaste su le mie ferite i balsami soavi dell’amicizia, deh! or che vi è nota la mia vita, non rifuggite con orrore dal rimembrarmi. Rammentate che, quando leggerete la storia del mio delitto, allora lo avrà già espiato il mio sangue.

Estratta dal Nuovo Ricoglitore
Quaderni XIV. XV. XVI.