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rore che l’assali: «Per amor del Cielo, fate di non incontrarvi con lui!.. Non dite nulla di quanto è accaduto!.. Per amor mio non gli dite nulla!.. Io sola ne sarei la vittima».

Nuovi sospetti allor mi ferirono con forza la mente: «Voi lo temete dunque? Egli è scortese con voi? Parlate (e stringendole la mano e guardandola con ardore reiterai ancora la stessa inchiesta). Parlate. Ardisce egli osare di modi aspri con voi?»

«No - no - no!» esclamò ella esitante e con aria d’imbarazzo; ma la guardai in volto, e una sola occhiata mi spiegò più di quel ch’io volessi. Io vidi nelle sue pallide e smunte guance, nel subitaneo terrore, nell’agonia di quegli occhi depressi tutta la storia di un’anima soggiogata dalla tirannide altrui. Gran Dio! E dovea questo fior di beltà essermi tolto perchè un barbaro lo calpestasse in tal guisa? Tale idea mi trasse in delirio. Io digrignava i denti; mi contorcea le mani; le mie labbra spumavano; ogni passione si era sciolta in furore a guisa di bollente lava entro il mio cuore. Bianca, divenuta per la paura incapace di favellare, si allontanò. Mi affacciai alla finestra, i miei occhi cercavano tutto quel viale quant’era lungo. Fatal momento! vidi Filippo in distanza. Allor la mia mente non fu più padrona di se stessa. Balzai fuor del padiglione, e con la celerità del lampo gli fui dinanzi. Appena mi vide precipitoso corrergli incontro, si volse pallido e con occhio stralunato guardandosi a ritta e a manca, come cercando se vi fosse via di sottrarsi; indi sguainò con mano tremebonda la spada.

«Sciagurato! (esclamai) ben potete ora sguainare la spada».

Non aggiunsi parola; trassi un pugnale; lo disarmai del ferro che gli tremolava nelle mani; gli piantai il mio nelle viscere. Cadde egli sul colpo, ma sazia non era ancor la mia rabbia. Me gli gettai addosso col furore di una tigre assetata di sangue; raddoppiai i colpi; straziava nella mia